Per la prima volta lo stato italiano indaga per mafia sui Casamonica. Finora, vuoi per un motivo, vuoi per un altro, non era mai stato possibile. E i Casamonica, quanto a rapporti con le più grandi organizzazioni criminali, ovviamente non scherzano. Com’è chiarissimo da queste sconcertanti testimonianze de L’Espresso.

Non tutto scorre sempre bene nei rapporti fra il clan degli zingari e le organizzazioni criminali più strutturate.

Luciano Casamonica, il capufficio stampa della famiglia, può testimoniarlo. Nel 2004 è stato arrestato per traffico di stupefacenti dalla Dda di Catanzaro insieme a un gruppo di esponenti delle ’ndrine vibonesi (operazione Replay). Aveva preso cocaina in conto vendita e non riusciva a restituire i soldi ai soci delle cosche. Le intercettazioni descrivono la lunga trattativa per il recupero del credito, fra promesse e scambi di minacce, con i calabresi che nei confronti di Luciano passano dal titolo onorifico di compare a quello di “zingaro di merda”, secondo le fasi della trattativa.

Anche gli ’ndranghetisti esitano sui provvedimenti da prendere contro il debitore in un misto di superstizione («i familiari di Luciano non fanno le fatture ma le tolgono») e di timore verso un personaggio “pluripregiudicato per gravi reati” che la polizia ammette di non potere controllare nella sua casa-fortezza in via del Quadraro vigilata da esponenti della famiglia. Luciano se la cava una prima volta ma non la seconda, quando i suoi pagamenti ritardati alla ‘ndrangheta gli procurano un sequestro lampo in Calabria finché uno dei figli non riesce a saldare.

Giuseppe Casamonica junior, re dei locali notturni e fratello del Luciano che lavorava per Buzzi, ha rischiato di essere ucciso dai camorristi Michele Senese e Domenico Pagnozzi, due ex soldati di Carmine Alfieri, per questioni legate ai servizi di sorveglianza delle discoteche, un’altra chiave del controllo del territorio e dello spaccio.

Noto per il suo train de vie da emiro e per il suo flirt con Tamara Pisnoli, ex moglie del calciatore Daniele De Rossi, Giuseppe si è salvato soltanto grazie agli arresti: il suo nel 2012 e quello dei suoi nemici per l’operazione Tulipano, dal nome del bar di via del Boschetto a Monti, nel centro della capitale, sequestrato a febbraio 2015. Al Tulipano si tenevano le riunioni del gruppo. Pochi metri più in là c’è la sorvegliatissima casa del presidente Giorgio Napolitano.

Altrettanto sorvegliata, ma dagli stessi Casamonica, è la casa di Giuseppe, un nucleo di villette blindate in vicolo di Porta Furba al Tuscolano. Lì, a pochi passi da un’altra residenza del patriarca Vittorio in via del Mandrione, vive un altro degli anziani a capo della famiglia. È Guerrino, 69 anni, padre di Giuseppe ed ex consigliere della coop di pulizie Phralipé (“fraternità” in lingua romanès).

Nonostante questi incidenti di percorso, le relazioni con il grande crimine restano buone e il lavoro di squadra funziona. I Casamonica hanno legami con i casalesi, soprattutto in Ciociaria, e con il gotha della ’ndrangheta, dal clan Pelle-Nirta di San Luca ai Piromalli-Alvaro.
Un filmato mostra il patriarca Vittorio mentre si abbandona alla sua passione canora nel Café de Paris di via Veneto, sotto lo sguardo attonito dei clienti che non riconoscono il crooner. Sono i giorni precedenti il sequestro del locale per un presunto controllo da parte del clan Alvaro smentito dalla corte d’appello di Reggio Calabria nel maggio 2015.

Sono buoni anche i rapporti con le cosche del cosentino, dove la famiglia romana voleva investire in società con l’imprenditore Pasquale Capano, mafio-massone legato al clan Muto, e arrestato a gennaio 2014.

Certo, anche fra Casamonica si litiga. È accaduto un anno e mezzo fa ad Albano Laziale, quando la polizia ha sedato una maxirissa con tentato omicidio fra una sessantina di parenti membri di fazioni rivali.
Succede nelle migliori famiglie.

Fonte: L’Espresso