Di Francesca Lagatta

Alzi la mano chi, quasi tre anni fa, quando fu resa pubblica la notizia di un politico a braccetto con il clan Muto, non fu assalito dalla tremenda curiosità di sapere chi fosse. Da allora sono passati due anni, sette mesi e 29 giorni, di quella storia non se n’è saputo più nulla. Niente, svanita come una bolla di sapone, come se non fosse mai successo nulla. Peccato perché la “confessione“, questo almeno sembrava essere, c’è stata eccome e gli organi inquirenti, che la intercettarono per caso, la trascrissero nero su bianco. Ma, ad oggi, è impossibile trovare traccia di una indagine aperta sul politico in questione, almeno non nei canali ufficiali.

Ma come sono andate veramente le cose? Perché gli inquirenti arrivarono a quella sorta di confessione? Perché ad oggi i cittadini non sanno niente di quella storia?

Intraneo al clan

Andiamo per ordine. Tutto ha inizio nel periodo in cui gli investigatori stanno cercando di ricostruire il puzzle mafioso del potentissimo clan Muto di Cetraro. Il capobastone Franco è ormai anziano ma ha ancora le mani in pasta dappertutto, droga, commercio, sicurezza nel locali, politica e soprattutto sanità. Gli argomenti sono troppi e troppo ampi e così gli inquirenti dividono idealmente l’inchiesta in due filoni. La prima, sfociata nell’operazione Frontiera del 19 luglio 2016, infliggerà un duro colpo al clan e dimostrerà, anche se non era certo un mistero, come il settore del mercato ittico della costa tirrenica fosse totalmente monopolizzato. L’altra inchiesta, che prova a ricostruire le entrature nella sanità, è più complessa e necessita di più tempo. L’ipotesi degli inquirenti è che Franco Muto e i suoi uomini muovano i fili nei presidi sanitari della costa tirrenica. Per capire quanto grande fosse l’influenza del clan si controllano per prima cosa le liste dei dipendenti delle varie strutture e molti di essi, in un modo o nell’altro, risultano effettivamente legati alla cosca. Ma in una terra dove lo Stato latita più della mafia, il confine tra affiliazione al clan e soggiogazione è più sottile che altrove, anche se la differenza è sostanziale. Il punto è: imprenditori della sanità collusi con il boss o semplicemente vittime costrette ad obbedire?

E’ questo che stanno cercando di capire gli investigatori quando un giorno si imbattono in dichiarazioni che forse nemmeno ci si aspettava di sentire. Su una utilitaria imbottita di cimici ci sono due persone. Una è un imprenditore attenzionato da tempo, l’altra è un politico. L’imprenditore è alla guida e chiacchiera con il passeggero, il quale a un certo punto comincia a ripercorrere la sua invidiabile ascesa. L’imprenditore forse sospetta di essere ascoltato e sembra non voler rispondere alla conversazione. Ma l’altro è un fiume in piena e ci tiene a precisare che il suo successo lo deve a quelle “brave” persone che lo hanno sostenuto, raccattando voti come potevano, chiaramente in cambio di favori. D’altronde non potrebbe essere altrimenti, il politico, secondo la sua versione, è parte attiva del clan perché avrebbe giurato fedeltà all’organizzazione criminale. Il tour poi finisce, l’auto viene parcheggiata e raramente verrà ancora usata. Oggi è ancora lì, dove è stata lasciata anni fa, intestata agli stessi proprietari.

L’omissis

Quel giorno i nastri registrano e gli inquirenti trascrivono. Ma il nome del politico viene sostituito da omissis, come impone la prassi relativa alleindagini riservate. Quando scoppia l’inchiesta Frontiera, la notizia però trapela e alcuni giornalisti riescono a leggere l’intercettazione, ma le carte non si possono né pubblicare né tenere in archivio, perché sono atti secratati.

La confessione della confessione

Il fatto desta scalpore e curiosità, ma l’assenza completa di notizie giudiziarie in merito, a quattro anni circa dall’episodio, quasi quasi convince i più che quelle parole non siano mai state pronunciate e che forse chi ha messo in giro quella “voce” abbia interessi prettamente personali. La circostanza costringe alcuni cronisti ad andare a fondo alla questione e ad arrivare, dopo mesi di lavoro, a una sorta di confessione da parte di chi era a conoscenza di quelle dichiarazioni ben prima che ne parlasse la stampa, tanto che la fonte non ha nessun problema a fornire il nome e il cognome celato dall’omissis.

I rapporti consolidati con il clan

Si tratterebbe di un politico che ha rapporti da tempo con l’imprenditore e cerca di fargli scudo negli ambienti della sanità. Se si fossero condotte indagini più approfondite, e non è detto che non siano ancora in corso, si sarebbe facilmente potuto documentare lo stretto legame tra il soggetto in questione e due degli uomini più vicini al clan Muto, uno è a tutt’oggi il braccio operativo, l’altro è un parente che mandava avanti gli affari di famiglia. Ma ci sarebbe molto di più, tra le prove inconfutabili del rapporto consolidato ci sarebbero fotointestazioni fittizie e decine di altri elementi che proverebbero, almeno in parte, la veridicità di quelle dichiarazioni. Anzi, diciamo così, ammesso che quelle intercettazioni non siano mai esistite, una magistratura più attenta e informata avrebbe comunque indagato sul soggetto per via di inequivocabili segnali di vicinanza al clan.

Leggeremo mai il nome del politico?

Che fine hanno fatto quelle intercettazioni, qualcuno le ha mai prese in considerazione? Qualcuno ha mai voluto vederci chiaro? E’ stata mai aperta indagine? Secondo quanto trapelato, quelle intercettazioni sarebbero finite in un calderone ancora più grande quando qualcuno, accortosi di una possibile influenza esterna, le avrebbe dirottate altrove, al riparo da occhi indiscreti, dove altri occhi si sarebbero accorti che questa vicenda non sarebbe l’unica a presentare delle stranezze. Attendiamo, sperando che stavolta non sia per molto.