C’è poco da fare: tra squallidi si capiscono al volo, c’è feeling, c’è sintonia. L’ultima di Occhiuto e dei suoi raccomandati e incapaci dirigenti era stata già sussurrata dai cortigiani di palazzo ed ora è ufficiale: Fabri Fibra sarà a Cosenza per Capodanno.

Le comparsate di Carmen Consoli (ormai in caduta libera da anni) e di Rachele Bastreghi (voce sfiatata e ormai persa nell’oblio dei Baustelle) non fanno neanche notizia. Ma l’arrivo di questo squallido pseudorapper disorganico, che in questi anni ha fatto del suo saltabeccare da un fronte all’altro degli schieramenti politici la cifra stilistica dei suoi attacchi ritmati e rimati e dell’odio per le donne e per i gay il suo punto di riferimentohanno dell’incredibile per una città come Cosenza.

O forse ne rappresentano la deriva irrefrenabile dell’occhiutismo, che altro non è che fascismo e razzismo mascherato.

Che Fabri Fibra sia quello che è non ce lo inventiamo noi, naturalmente, ma ormai è storia, dal momento che qualche anno fa questo repellente soggetto fu cacciato a calci in culo persino dal palco del concertone del Primo Maggio.

Furono le Donne in rete contro la violenza a inalberarsi, ritenendo a giustissima ragione grave e inopportuna la scelta di invitarlo al concerto.

Fabri Fibra, infatti, per chi non lo sapesse, è il rapper italiano che divulga nei testi delle sue canzoni messaggi sessisti, misogini, omofobi, e canta l”apologia della violenza contro le donne.

In “Su le mani” alcuni passaggi esaltano la violenza con riferimenti a una dolorosissima vicenda che scosse l’Italia negli anni ’80 e che contò 16 vittime. Parliamo addirittura del mostro di Firenze. Non dovremmo fare pubblicità a questo mentecatto ma è bene che la gente legga quello che scrive il sedicente Fabri Fibra.

“Giro in casa con in mano questo uncino, ti ci strappo le ovaie e che cazzo me le cucino!”

“Non conservatevi, datela a tutti anche ai cani, se non me la dai io te la strappo come Pacciani!”. 

In “Venerdi” 17 invece canta lo stupro e l”assassinio di una bambina di 12 anni ed esalta azioni violente contro le donne.

“Questa classica sfigata che va in cerca di attenzione e finirà un giorno stuprata nel bagno della stazione, così sta ritardata dopo i primi due cannoni si addormenta e non si accorge che le tolgo i pantaloni”. 

“Le ragazze sono così, sono tutte molto strane, si dividono in due gruppi: le mignotte e le puttane”. 

C’è davvero ben poco da commentare rispetto a questo linguaggio indegno che ritiene di fare spettacolo con la violenza contro le donne e – come vedremo – contro i gay.

I sindacati, per fortuna, si sono accorti in tempo della gaffe che stavano per fare.

Questo è il pensiero de il manifesto, reso pubblico all’indomani di questa vicenda. 

… alcuni si sono lanciati gridando alla censura: addirittura nomi illustri come Jovanotti, Elio, Scanzi, ma soprattutto Roberto Saviano, che si sono schierati in difesa di Fabri Fibra parlando anche di “scelte bigotte”. E allora chiedo a questi uomini di riflettere sul perché la violenza sulle donne viene sempre dopo tutto il resto. Dopo la censura (vuoi impedirmi la libertà di espressione?), dopo la famiglia (che non si tocca), dopo il pareggio di bilancio (i soldi per le vittime di violenza sono sempre gli ultimi), dopo 20 anni in cui hai dovuto crescere i figli sotto il ricatto di un marito che ti ha massacrato e solo dopo che i figli sono grandi allora lo denunci, dopo il salvataggio di quelli che ti hanno stuprata a 15 anni e che non sono mai stati condannati davvero, dopo che ti hanno uccisa e si sono accorti che eri perseguitata, minacciata, tormentata, braccata. Sempre dopo.

Non percepire la violenza nella sua giusta dimensione, è appoggiare la violenza e la cultura dello stupro di cui si nutre. A che serve firmare l’appello “Mai più complici”, come ha fatto Roberto Saviano contro il femminicidio, se poi davanti a fatti concreti si spazza via tutto, ci si dimentica, e si diventa difensori di contenuti che incitano a quello stesso femminicidio, contro cui ci si era schierati con un linguaggio due volte dannoso perché rivolto a giovani e adolescenti? Questa per me è propaganda e non una scelta di campo politica contro il femminicidio.

Mi preme chiarire a questi difensori della libertà di espressione, che chi difende la tutela della vita delle donne, sa bene che la violenza non è solo fisica, sessuale, psicologica, economica, e che esiste una cosa che si chiama “la violenza del linguaggio”, che crea danni enormi perché veicolo culturale di quella discriminazione che porta alla violenza contro le donne – femminicidio. Quello che hanno chiesto i centri antiviolenza, che conoscono bene di cosa si sta parlando, è una richiesta di civiltà che nulla ha a che fare con il moralismo. La censura è quella che impedisce di dire la verità e non quella che ferma la violenza, altrimenti non abbiamo capito niente. Quello di Fibra è un linguaggio violento e sessista, e dire che siamo bigotte è come dire che lo stupro è una forma d’amore con un rapporto sessuale un po’ acceso, è come dire che in fondo le donne se la cercano, è giustificare il femminicidio dove un uomo picchia, massacra, e arriva anche a uccidere non perché è un assassino violento ma perché semplicemente geloso…

 La violenza del linguaggio è ovunque: nei testi delle canzoni, nei libri di scuola, sui giornali, nei tg, nelle fiction, e quello che si chiede non è una moralizzazione ma il diritto sacrosanto a non subire questa violenza una, due, tre, quattro volte, sempre e ovunque siano veicolati stereotipi e discriminazione in base al genere: perché quello è il terreno sui cui la violenza contro le donne prolifera.

Giorni fa il padre di Stefania Noce, uccisa nel 2011 in casa sua dall’ex fidanzato, che ora è stato condannato all’ergastolo, ha dichiarato che su sua figlia molti giornali hanno fatto ricostruzioni false e fantasiose, e che parlare di “delitto passionale” o di “femminicidio” fa una bella differenza. Le parole sono importanti e il linguaggio può travisare la realtà in maniera dannosa e fuorviante, perché possono condonare non solo gli abuser ma anche le istituzioni e i mezzi d’informazione che non riconoscono la gravità della violenza e il fattore di rischio per la vita stessa delle donne, alimentando così quella stessa cultura discriminatoria. Come dice Ninni Noce: “Se un organismo come l’Onu dice che la violenza di genere è una lesione dei diritti umani, c’è poco altro da aggiungere”.

Quindi se critico, argomentando, l’uso di raptus di gelosia sui giornali, non vedo perché non mi devo indignare davanti a uno che mi canta nelle orecchie: “Non conservatevi, datela a tutti anche ai cani, se non me la dai io te la strappo come Pacciani”?

FABRI FIBRA OMOFOBO

Fin qui il Fabri Fibra sessista e violento. Adesso apriamo la pagina del Fabri Fibra omofobo, che non è certo da meno. Da parte nostra possiamo ricordare Non ditelo, la canzone in cui si riferiva a Marco Mengoni così: “Secondo me Mengoni è gay ma non può dirlo perchè poi non venderebbe più una copia. Già me lo vedo in camera arriva una figa prende il suo cazzo in mano e lui dice: ‘Lasciami stare ti prego’”. Per l’occasione partì anche una raccolta firme contro il rapper

Ma non solo. Il rapper Fabri Fibra è un omofobo che se ne va in giro a diffamare e schernire l’orientamento sessuale altrui. È quanto stabilisce una sentenza emessa dal Tribunale di Milano e che può essere ritenuta definitiva dato che sono trascorsi i termini un’eventuale impugnazione.
Ad aver sporto denuncia è il cantante Valerio Scanu, oggetto di pesanti insulti contenuti nel brano “A me di te” di Fabri Fibra. Nella canzone, pubblicata nel febbraio 2013, il rapper dice di Valerio che «in realtà è una donna» o che «gli ho abbassato i pantaloni e sotto aveva un tanga».
Per i giudici quella è diffamazione ed il magistrato ha anche sottolineato come quel testo facesse «riferimento con scherno ai suoi orientamenti sessuali».
L’avvocato di Fabrizio Tarducci (vero nome di Fabri Fibra) ha sostenuto che un linguaggio esplicito e il ricorso a immagini forti sono elementi essenziali del rap. Ma di questo non erano certo convinti gli avvocati Paola Castiglione e Ugo Cerruti che rappresentavano Scanu, i quali hanno notato come «le espressioni utilizzate dal cantante Fabri Fibra sono diffamatorie in maniera oggettiva, come ha stabilito il giudice. Ed è la prima sentenza in Italia che vede la condanna per diffamazione di un cantante di musica rap. La musica è libertà, ma insultare squallidamente una persona non è musica e non è arte. Ognuno è libero di manifestare liberamente il proprio pensiero, non di offendere e diffamare una persona».
Il rapper è stato condannato ad una pena pecuniaria che ammonta a 20 mila euro.

 

Fonte Iacchitè.com che ringraziamo