La Corte di Appello, riunita in camera di consiglio e così composta: dott.ssa Antonella Eugenia Rizzo (Presidente);
dott. Antonio Rizzuti (Consigliere relatore);
dott. Giuseppe Bonfiglio (Consigliere); si é espressa, condannando ( rigettando il suo ricorso ) una giovane madre Paolana, ed affidando il figlio al padre, come stabilito in primo grado.

Ma, andiamo con ordine. La Madre, era stata accusata in primo grado dal tribunale di Paola, di aver perpetrato violenza fisica e verbale sul compagno ( Dalla cui relazione diede alla vita il figlio ) e sul figlio stesso “….Il padre – lamentava una serie di episodi di violenza, fisica e verbale, perpetrati nei suoi confronti e del minore. La madre non perdeva occasione per sminuire la figura paterna, con
pesanti accuse e insulti rivolti al papà in presenza del bambino. (“sto porco di
merda”) e rivendicare il gesto (“Si. Vuoi che lo faccio di nuovo?”), non curante
della presenza del figlio, denigrava il padre come genitore (“sei un padre
incapace!”) e gli “prometteva” altre botte; i ripetuti insulti, con evidente finalità puramente denigratoria e svalutativa dell’uomo in quanto tale e in quanto genitore, ad esempio, dell’8 gennaio (“vatti
ad ammazzare ché non vali niente, né come padre né come nulla…”)

Una ctu, che la corte d’appello ha giudicato approfondita e scientificamente valida, ha accertato l’inidoneità genitoriale della donna a causa degli episodi di violenza e dei comportamenti contrari all’interesse del minore.

Anche per questa serie di ragioni, in primo grado il Tribunale di Paola nel Dicembre 2019, disponeva l’affidamento esclusivo del minore al padre. ll giudizio è stato introdotto in primo grado dall’avvocato Rosangela Cassano ed è stato sostenuto in appello dall’avvocato Massimo Florita.

La Donna, reclamante, aveva presentato ricorso in appello. Una triste vicenda familiare, che si è epilogata negli scorsi giorni. La Corte D’Appello di Catanzaro, ha confermato l’affidamento del piccolo al padre. Un caso probabilmente unico in Italia.

“Tenuto conto di quanto illustrato, ritiene la Corte che, allo stato e in tale situazione
di emergenza, il padre mostri, per la sua maggiore pacatezza, per la consapevolezza della gravità e della complessità della situazione e per il suo
equilibrio, oltre che per il favorevole contesto familiare (gode dell’appoggio dei
genitori, sinceramente interessati al benessere del nipote, e della sorella), di avere requisiti caratteriali e di personalità che lo rendono più adatto a costituire il
genitore di riferimento principale per il minore e, conseguentemente, più idoneo,

sulla base di una valutazione inevitabilmente prognostica, a svolgere, in un contesto di conclamata crisi della coppia non ancora superata dal punto di vista psicologico, l’essenziale funzione di tutela, oltre che del proprio rapporto con il
minore, di quello del figlio con l’altro genitore; funzione genitoriale che la madre, per ragioni contingenti o di carattere, ha mostrato di non sapere assolvere, dando luogo a comportamenti di segno opposto, ossia di svalutazione dell’altro genitore e di ostacolo ad un rapporto sereno dello stesso con il minore” Infine però è doveroso riportare una precisazione che la Corte ha riportato nella sentenza

“Ad ogni modo, è opportuno evidenziare che, come ricavabile dal dispositivo del
decreto impugnato, il Tribunale, nel disporre il programma in base a cui madre e figlio possono trascorrere del tempo insieme, precisa che è “fatto salvo diverso
migliore accordo”.
Pertanto, i genitori, avvalendosi dell’ausilio dei Servizi Sociali territorialmente competenti – oltretutto incaricati dal Tribunale di monitorare i rapporti tra figlio e ciascuno dei due genitori con l’obbligo di segnalare criticità al Giudice Tutelare ex art. 337 c.c. – nel prioritario interesse del minore potranno
modulare in maniera differente gli orari di visita della madre. Ovviamente, la necessità di un accordo non significa attribuire al padre, attuale genitore di riferimento principale del minore, il potere arbitrario di concederlo o di negarlo, giacché – tenuto conto di quanto sopra esposto sul senso del provvedimento che lo individua, allo stato, come più adatto genitore “collocatario” e sulla auspicata prospettiva di un recupero pieno della
bigenitorialità – è suo preciso dovere, anche in applicazione del principio di buona fede che governa tutti rapporti civili, venire incontro, per quanto possibile e in maniera ragionevole, alle esigenze di vita e di lavoro della madre e favorire il
rapporto madre – figlio, fermo restando l’interesse del piccolo ad avere una vita il
più possibile ordinata e, soprattutto, a non diventare occasione di ulteriori litigi tra
i suoi genitori” Infine, la Corte di Appello di Catanzaro, decidendo sul reclamo presentato dalla madre, avverso il decreto del Tribunale di Paola emesso,

  • rigetta il reclamo e, per l’effetto, conferma il decreto impugnato;
  • condanna la madre al rimborso nei confronti del padre di 2/3
    delle spese del giudizio di reclamo.