Il clan che più di tutti ha risentito negli ultimi anni di questi scossoni giudiziari è sicuramente quello denominato dalla Dda di Catanzaro, “Rango-zingari” che, sancita la pax mafiosa con gli italiani con un’unica bacinella dove venivano versati i proventi illeciti, ha dovuto più volte riorganizzarsi dopo gli “addii” d Adolfo Foggetti, Franco Bruzzese, Daniele Lamanna e in ultimo Luciano Impieri, senza dimenticare Celestino Abbruzzese. E ancora: Francesco Noblea e Alberto Novello, ragazzi della cosiddetta “criminalità liquida”, come ama definirla il procuratore capo di Cosenza Mario Spagnuolo. Uomini che, una volta passati dalla parte dello Stato, hanno spiegato agli investigatori e ai magistrati i motivi per i quali avevano deciso di lasciare un mondo, di cui avevano fatto parte fino al giorno prima.

La “Nuova Famiglia”
La recente storia criminale di Cosenza cambia un giorno di settembre del 2014, quando i carabinieri del Comando provinciale di Cosenza, più precisamente gli uomini del Nucleo Investigativo, prelevano Ernesto Foggetti e lo portano davanti ai magistrati Vincenzo Luberto e Pierpaolo Bruni. In questa occasione, il giovane rendese comunica la sua volontà di collaborare con la Dda di Catanzaro.

Dalle sue dichiarazioni, l’ufficio inquirente antimafia decide di firmare un decreto di fermo nei confronti di Maurizio Rango, Adolfo Foggetti e Daniele Lamanna, accusati di aver deciso e commesso l’omicidio di Luca Bruni, sparito da due anni. L’allora gip di Cosenza, però, non convalida i fermi. Due giorni dopo, scatta il maxi blitz “Nuova Famiglia”. Nella rete di carabinieri e polizia finisce tutta l’organizzazione mafiosa degli “zingari”.

Nel frattempo, in carcere Adolfo Foggetti avverte che qualcosa sta cambiando. La sua famiglia, in un colloquio, lo avvisa che chi era rimasto fuori aveva fatto un’estorsione ai parenti della moglie e percepisce che lo stesso Rango possa nutrire dell’astio nei suoi confronti. Anche se nella casa circondariale di via Popilia, come riferirà ai magistrati, ogni detenuto faceva i suoi comodi, ricevendo dall’esterno indumenti e alimenti che non potevano entrare.

Il 17 dicembre 2014 l’ex reggente della cosca nel Tirreno cosentino dà una svolta alla sua vita. Con i carabinieri e agli agenti di polizia che più volte lo avevano arrestato nel corso della sua carriera criminale, va in una zona periferica del comune di Castrolibero, dove era seppellito il corpo di Luca Bruni. E’ il giorno in cui gli indizi iniziano a diventare prove schiaccianti contro Rango, Bruzzese e Lamanna. Le operazioni proseguono fino alle 23 di sera, quando i reparti speciali e il medico legale incaricato dalla Dda di Catanzaro raccolgono quel che rimane dell’ultimo boss dei “Bella bella” e depositano le ossa in una bara. Foggetti “canta” che è una bellezza: parla degli accordi con gli altri clan, fa nomi dei politici cosentini e non solo. Racconta perché temeva di essere ucciso dallo stesso clan per il quale aveva “lavorato” negli ultimi anni.
Qualche mese dopo si “ravvede” anche Franco Bruzzese. Parliamo del capo società dell’associazione mafiosa “Rango-zingari” che, non avendo ricevuto denaro per il mantenimento della sua famiglia e avendo sulla coscienza la morte di Luca Bruni, parla come un fiume in piena con i pm antimafia e rafforza tutto l’impianto accusatorio. Dal delitto eccellente ai reati-fine commessi per agevolare la forza intimidatrice ed economica della cosca.

In tutto ciò, l’unico a non essere in carcere è Daniele Lamanna. E’ latitante da parecchio tempo e gli investigatori lo cercano in diverse regioni d’Italia, quali la Toscana e il Lazio. Setacciano Cosenza e Rende, seguendo gli spostamenti dei parenti, quando un giorno la Squadra Mobile di Cosenza intuisce che il pericoloso criminale possa nascondersi a Trenta, dalla famiglia della moglie. Fiuto vincente, perché Lamanna è proprio lì. E’ armato, ma alla vista dei poliziotti si arrende e spiegherà, dopo il suo pentimento arrivato a seguito della pronuncia di primo grado con l’ergastolo a Maurizio Rango, che aveva modificato il suo aspetto, come se fosse “un monaco”, per timore che qualcuno del clan potesse ucciderlo. Lamanna, infatti, aveva lasciato l’organizzazione qualche mese prima del blitz in una famosa riunione svoltasi all’ultimo lotto di via Popilia. Strade separate, per sempre. (alan)

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