IL REATO DI CAROLA, LA LEGGE DI SALVINI

di Franco Dionesalvi

La vicenda della capitana Carola, che forza il blocco e attracca nel porto per far scendere i migranti che aveva raccolto in mare, ha suscitato molte reazioni. Che in diversi casi sono strumentali, ma a volte sono ispirate ad un autentico sconcerto; e dunque val la pena di provare a fare chiarezza.

Peraltro c’è un elemento in comune con la vicenda del sindaco Mimmo Lucano: anche lì, almeno secondo l’accusa, si è violata la legge al fine di consentire a un gruppo di migranti di ottenere una sistemazione serena.

Il successo del movimento Cinquestelle, soltanto pochi anni fa, nasceva da un moto di indignazione contro una intera classe dirigente che acquisiva e conservava le sue posizioni di vertice con la forzatura, con l’imbroglio, passando sulla testa di altri che ne avevano diritto. E dunque rivendicando legalità: che le regole vanno rispettate, che la legge è uguale per tutti.

Bene. Il fatto è che, intanto, bisogna distinguere la legge dalla carta bollata. E poi occorre farsi qualche domanda sulle leggi, su come nascono, a cosa servono, e soprattutto qual è il loro fine.

Nel 1938 in Italia furono promulgate delle leggi che ordinavano l’allontanamento degli ebrei da una serie di professioni, il loro licenziamento se giornalisti o notai, l’allontanamento dei ragazzi ebrei dalle scuole, la denuncia di coloro che nascondevano la loro appartenenza alla razza ebraica alle autorità. Tutti gli italiani erano obbligati a rispettare quelle leggi, e purtroppo lo hanno fatto. I pochi che non l’hanno fatto noi oggi li consideriamo degli eroi.

La donna afroamericana che, in America, si è rifiutata di cedere il posto sull’autobus a una bianca, ha violato una legge. Ma è grazie a quella violazione che ha preso impulso un movimento che ha portato, lentamente e progressivamente, all’abolizione dell’apartheid.

Negli anni Settanta del secolo scorso alcuni giovani (oggi anziani) rifiutarono in Italia di sottostare all’obbligo del servizio militare, che era sancito da una legge. Grazie a quel gesto – che per loro comportò il carcere – fu riconosciuto il diritto al servizio civile alternativo al militare, e poi il servizio di leva obbligatorio fu abolito.

Senza dei gesti di ribellione, di persone pronte a pagare di persona perché spinte da una idea di giustizia, interiore e superiore alle leggi vigenti, noi avremmo oggi ancora la schiavitù, la servitù della gleba, la potestà maritale sulla donna e altre simili meraviglie.

Quello che bisogna capire, che non si deve mai perdere di vista, è che la legge è fatta per l’uomo, e non l’uomo per la legge. Le leggi sicuramente vanno rispettate. Ma è troppo comodo rifugiarsi nella sicurezza ipocrita della carta bollata. Il nostro dovere di persone è di interrogarci continuamente, se quelle leggi che noi abbiamo creato svolgono la loro funzione, che è quella di considerare l’uomo, ossia tutte le donne e tutti gli uomini, non come mezzo ma come fine. E di volerne tutelare, al di sopra di ogni altra cosa, la loro vita, la loro integrità, il loro diritto a ricercare la felicità.