Uno dei nodi dell’inchiesta denominata Plinius, relativa all’operazione avvenuta nell’alto Tirreno cosentino il 12 luglio 2013, è quello della presunta inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche

. La Corte di Cassazione nelle motivazioni dello scorso settembre, relative ai ricorsi presentati da diversi imputati, ha chiarito definitivamente la questione.

Il processo derivato dall’operazione Plinius, come è noto, nel bene e nel male, si fonda su una grande quantità di intercettazioni telefoniche e ambientali che sono il pilastro portante dell’attività di indagine. E, dunque, più di una volta, nelle varie sedi processuali, è emersa la problematica. Per molti avvocati difensori degli imputati, far saltare l’intero impianto delle intercettazioni avrebbe portato ad abbattere gran parte del castello accusatorio.

La censura proposta dagli avvocati di molti imputati si basa sulla presunta inutilizzabilità di tutte le intercettazioni telefoniche ed ambientali, per inosservanza del codice di Procedura penale che regola la materia. Secondo gli avvocati, non sarebbe stato provato in modo certo che la prima registrazione delle captazioni fosse avvenuta sul server installato nella Procura della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro, a ciò non apparendo sufficiente la documentazione richiamata in sentenza e difettando un verbale di inizio operazioni. Il codice “stabilisce che i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati qualora le stesse siano state eseguite fuori dei casi consentiti dalla legge o qualora non siano state osservate le disposizioni previste dagli articoli 267 e 268, commi 1 e 3; quest’ultima norma, in particolare, prescrive che le comunicazioni intercettate sono registrate e delle operazioni è redatto verbale (comma 1), e che le operazioni possono essere compiute esclusivamente per mezzo degli impianti installati nella Procura della Repubblica.

Tuttavia, quando tali impianti risultano insufficienti o inidonei ed esistono eccezionali ragioni di urgenza, il pubblico ministero può disporre, con provvedimento motivato, il compimento delle operazioni mediante impianti di pubblico servizio o in dotazione alla polizia giudiziaria”. Secondo la Cassazione l’impianto presente in Procura può quindi essere trasformato in una sorta di mero “ripetitore”, utilizzato esclusivamente per l’instradamento del flusso di dati dall’operatore telefonico a quello di polizia, senza l’inserimento e la “registrazione” di quei dati nel server (memoria informatica centralizzata) esistente nei locali della Procura.

 

Fonte Miocomune