La vicenda giudiziaria che ha creato un terremoto istituzionale in Calabria, con il provvedimento d’obbligo di dimora a San Giovanni in Fiore per il governatore della regione, Mario Oliverio, si inserisce nell’azione più generale della magistratura volta a combattere il malaffare alle nostre latitudini.

Nel caso specifico, pesanti sono gli addebiti per l’uomo politico del Pd e per quanti avrebbero beneficiato dei vantaggi di alcuni appalti pubblici.

Contestato da più parti il suo agire in questi anni, soprattutto per quanto riguarda il conflitto sorto sulla gestione della sanità con il commissario Scura, Oliverio fino ad ora non era mai incappato, come invece è capitato per altri suoi colleghi in altre parti d’Italia, nelle anguste maglie della giustizia.

Ora con le accuse di Nicola Gratteri il giocattolo si è rotto. Anche per il presidente della regione Calabria, si aprono così le porte dell’inferno mediatico e del calvario giudiziario.

Dovrà dimostrare la sua innocenza e l’estraneità ai fatti contestatigli, in una situazione in cui la giustizia non sempre ha brillato per i provvedimenti adottatati, come nell’eclatante caso del comune di Fuscaldo, dove al sindaco e ad alcuni amministratori, sono state revocate dal tribunale del riesame tutte le misure restrittive inflitte. E comunque bisogna sempre avere fiducia nell’azione della magistratura. E’ questo il mantra recitato anche negli anni bui di Tangentopoli, soprattutto in casa Pds, quando ad essere “perseguitati” furono uomini politici e amministratori del Psi. Ma al di là delle colpe personali, anche nel caso in questione finito sotto le lenti di Gratteri, emerge chiaro il quadro di intrecci, secondo l’accusa, con il mondo della malavita e con personaggi discutibili, predatori assoluti di flussi di denaro per opere pubbliche. Sulla scena compaiono inoltre, funzionari, tecnici, e faccendieri vari, a completamento di un modello diventato ormai standard per la distorta gestione dell’amministrazione finanziaria in molti enti locali. Oliverio per difendersi dall’impianto delle accuse a lui rivolte, ha deciso di fare lo sciopero della fame. E’ la sua, una forma di protesta eclatante che contesta la stessa azione di Gratteri, facendo così sorgere un evidente conflitto tra i poteri politici e quelli derivanti dall’opera della magistratura. Si mette in moto in questo modo un meccanismo perverso che rischia di andare al di fuori dalle regole di garanzie previste dall’ordinamento giudiziario. Il rischio, è anche quello che con l’uso e l’abuso di un gesto così estremo, se ne possa col tempo vanificare la sua validità, rivelatasi invece determinante per l’esito positivo di tante battaglie civili in Italia. Vale per tutti il digiuno di Marco Pannella leader dei radicali, che sulle questioni del divorzio, dell’aborto, della legalizzazione delle droghe leggere, contro l’ergastolo, per l’eutanasia, ricorreva a questa potente arma per perorare le cause dei diritti collettivi, e mai di quelle personali.