Di Francesca Canino

In Italia è in atto uno dei più grandi scempi ambientali degli ultimi cinquant’anni che sta depauperando il territorio di milioni di alberi.

 

In tutta la penisola si assiste a continue capitozzature di alberi, fatte passare per potature, cui fanno seguito tagli o crolli degli stessi esemplari, indeboliti a causa degli interventi selvaggi sulla chioma. Sono già scomparsi in tante città italiane i viali alberati, è diminuito il patrimonio arboreo delle piazze, dei giardini pubblici e, se ci si allontana dalle aree urbane, lo spettacolo non cambia.

Ma la strage silenziosa, invisibile e devastante avviene nei boschi, in cui molta vegetazione è stata distrutta dalle motoseghe.

Gli incendi boschivi estivi, quasi sempre dolosi, hanno peggiorato le condizioni di ampie aree verdi. Nessun intervento è stato messo in atto per rimediare al danno ambientale subito dal territorio. In alcune regioni italiane, come la Calabria, il problema si è originato e sviluppato a causa di fattori che analizzeremo di seguito.

Incendi e clan

Gli incendi boschivi che hanno distrutto la Calabria negli ultimi anni sono stati prodotti da una regia che ha pianificato il progetto criminale degli incendi multipli e che ha messo in serie difficoltà l’esiguo corpo dei Vigili del Fuoco.

Lo scorso anno, la Calabria ha perso gran parte del suo patrimonio boschivo a causa dei numerosi incendi che l’hanno percorsa da nord a sud. Niente è stato fatto in seguito né per le aree colpite, né per prevenire una piaga che, insieme ai tagli e alle potature sconsiderate degli alberi, alle centrali a biomasse e all’incuria dell’uomo, ha ridotto di molto il patrimonio boschivo calabrese.

È noto da tempo che “l’affare dei boschi”costituisce un business milionario che arricchisce i clan alla pari degli altri traffici illegali, tanto che il 4 gennaio 2017, è stata presentata alla Camera dei Deputati la “Relazione sull’attività delle forze di polizia sullo stato dell’ordine e della sicurezza pubblica e sulla criminalità organizzata”,relativa all’anno 2015, in cui, nella sezione dedicata alle nuove minacce in ordine alla tutela ambientale, si legge: «Anche a causa della crisi economica, si è assistito ad una recrudescenza di fenomeni di illegalità nei confronti della risorsa forestale… Il taglio del bosco rappresenta infatti una risorsa che, in tempo di crisi economica, riacquista un valore tutt’altro che trascurabile soprattutto se attuato con prelievi molto più intensi di quelli autorizzati o se condotti a seguito di aste pubbliche non conformi alla norma… In certe aree della Calabria, sono state accertate così spesso infiltrazioni di criminalità organizzata nel settore, da indurre il Corpo Forestale dello Stato a proporre, anche per le alienazioni dei boschi pubblici, le procedure di certificazione antimafia previste dalla normativa per gli appalti pubblici. Sono state accertate, da parte delle ditte boschive che partecipano alle aste, accordi preventivi illeciti finalizzati alla spartizione di lotti da aggiudicare e ricorso a “cartelli” finalizzati a tenere bassi i prezzi della base d’asta mediante accordi segreti ed illegittimi».

I boschi della Sila sono in mano alle mafie da decenni, numerosi sono i camion pieni di tronchi che quotidianamente vengono visti e segnalati alle associazioni ambientaliste, agli uffici preposti che, però, preferiscono fare orecchie di mercante. Ora il problema è emerso insieme a tutti gli altri affari illeciti dei clan, tra cui il grande business delle centrali a biomasse.

Una centrale biomasse nel cuore del parco nazionale

La Centrale Enel a biomasse del Mercure, è attiva dal 2016 ed è sorta nel cuore del Parco nazionale del Pollino, vicino al fiume Mercure-Lao.

Una centrale a biomassa sulla Sila in Calabria

Proprio nell’anno in cui ha iniziato la sua attività, la centrale ha incassato, secondo quanto ha pubblicato l’Enel, 49milioni di euro. Di questi, solo 10milioni sono provenuti dalla produzione energetica, mentre i rimanenti 39milioni sono giunti da incentivi pubblici.

Non è stato difficile capire il gioco, visto che i guadagni della produzione energetica sono risultati provenire da incentivi pubblici e, soprattutto, la produzione non viene fatta secondo le richieste di energia del territorio. In altri termini, si produce un’eccessiva quantità di energia – che supera di molto il fabbisogno energetico della Calabria – per cui si ha bisogno di una quantità smisurata di biomassa necessaria al suo funzionamento (circa 350mila tonnellate all’anno). Spesso reperita anche sul territorio dell’Unione Europea, rischiando di importare specie contaminate da pesticidi, pericolosissimi per la biodiversità del parco e per la salute dei residenti.

Inoltre, la centrale opera con autorizzazione scadute e proroghe della Regione Calabria, che sono state anche impugnate dalle associazione ambientaliste del territorio e manca uno studio ad hoc sul microclima della Valle del Mercure (quello fatto è stato impostato sui dati di una valle diversa) e l’assenza di una Valutazione d’Impatto sulla Salute.

Nel giugno scorso, F2i ha acquistato l’intero portafoglio di impianti a biomassa vegetale del Gruppo Enel e ha avviato accordi con le Amministrazioni locali e con Coldiretti per la raccolta di sfalci da lavorazione agricola, pulizia degli alvei dei fiumi e del territorio boschivo. Equivale a dire che raccoglie tutta la legna dei territori, mentre in Italia, da nord a sud, si assiste inermi ai tagli di un gran numero di alberi e a potature sconsiderate.