Fonte: Antimafia Duemiladi Aaron Pettinari.

Paolo Panaro, figlio di Pompeo, imprenditore e politico (ex consigliere, assessore e vice sindaco del Comune di Paola, in provincia di Cosenza,) prima rapito e poi ucciso nel 1982, torna a far sentire forte la propria voce denunciando nuove minacce ed intimidazioni alla sua persona.
Negli ultimi mesi ci sono stati una serie di episodi che qualcuno vorrebbe archiviare come semplici casualità o coincidenze. Ma che la realtà sia ben diversa non è solo un sospetto, ma quasi una certezza.
L’ultimo fatto è del 7 febbraio scorso quando, mentre si trovava a passeggio con i suoi cani in una zona montana in aperta campagna, ha sentito una serie di spari in successione a breve distanza dalla sua persona. Spaventato si è subito allontanato verso la macchina assieme ai suoi cani. Aspetto rilevante è che in questo mese non sono previste attività venatorie, né l’orario in cui è avvenuto il fatto, cioè attorno alle 17.50, è favorevole per chi pratica la caccia.
Lo stesso era avvenuto mesi prima, il 9 settembre, in un’altra zona. Appena sceso dall’auto assieme ai cani, anche in quella occasione aveva sentito degli spari da breve distanza.
Episodi che, seppur a qualche tempo di distanza, sono stati regolarmente denunciati all’autorità giudiziaria. “Non è la prima volta che accadono episodi simili – dice lo stesso Panaro – Sono anni che ricevo questo tipo di pressioni. Penso al 2018 quando, tornato dalla passeggiata, ho ritrovato una volpe impiccata accanto alla mia auto. O ancora alla cinta appesa ad un cespuglio il 19 gennaio 2021, fatta poi sparire mentre ero andato a chiamare degli amici. La cinta, in gergo di ‘Ndrangheta, vuol dire ‘ti stiamo sempre intorno’. Sempre nel 2021, il 21 agosto, qualcuno ha fatto sparire uno dei miei cani. Dopo pochi minuti è tornato totalmente insanguinato. Fu necessaria un’operazione ed una cosa era evidente: non erano ferite riconducibili a fatti accidentali”.
Perché oggi tornano a sparare contro Panaro? Se lo chiede anche il diretto interessato: “Potrei sicuramente essermi avvicinato a zone di semina di marijuana, ma perché sparano solo a me e non ai tanti che, anche quotidianamente, frequentano questi posti?”.
Segno che la motivazione reale va cercata altrove. Nonostante tutto Paolo Panaro va avanti, chiedendo verità e giustizia per il padre, ma anche per sensibilizzare tutti i cittadini nel contrasto al malaffare. “Io non ho la prova provata che tutto questo accade perché legato a questa mia pretesa di verità sulla morte di papà, ma il sospetto mi resta. Certe minacce sono iniziate da quando ho iniziato a farmi domande su quanto avvenuto. L’episodio della volpe è accaduto all’indomani della pubblicazione di un articolo su Fanpage.it in cui si parlava per la prima volta degli imputati ritenuti morti ma che in realtà non lo erano. E’ stato un susseguirsi di episodi strani. Ed ogni volta ho presentato denunce contro ignoti. Tutte archiviate”.
Panaro nel suo cammino non vuole perdere totalmente la speranza che si possa smuovere qualcosa, anche se la fiducia nella magistratura è stata continuamente minata in questi anni.
Perché ci sono troppe cose che non tornano. Resta una certezza: “Nonostante i silenzi e i muri di gomma che si sono sollevati. Io continuo a raccontare cosa è accaduto a mio padre e a chiedere risposte alle domande”. Sperando che le istituzioni non si voltino per l’ennesima volta da un’altra parte.