Di Francesca Lagatta

Era 8 marzo, una ricorrenza che dovrebbe far riflettere sul senso della donna e i diritti che ancora non ha, ma che per motivi capitalistici è diventata una becera sagra del consumismo, una festa che, tra un rametto di mimosa e un’abbuffata al ristorante, predilige lo spogliarello di uomini palestrati e unti come la salsiccia sottovuoto.

Per carità, ognuna ha i propri gusti e anche le proprie esigenze, ma quello che salta agli occhi in giornate come quelle di ieri è l’ipocrisia di una intera regione, che predica bene e razzola male, molto male.

Ieri, mentre i politici lodavano la donna e il suo ruolo nella società, mentre le istituzioni facevano a gara per dimostrare quanto fosse profondo l’impegno per la difesa della donna (mah!), sul tratto della ss 18 compreso tra Amantea e Nocera Terinese, altre donne, evidentemente di serie c, continuavano ad essere usate, sfruttate e vessate, come accade praticamente da sempre. Sotto gli occhi di tutti.

Le prostitute della ss 18
Quelle donne non hanno un nome, per tutti sono «le prostitute di Amantea», sono lì da che io ho memoria, offrono il proprio corpo lungo una strada trafficata, dove passano quotidianamente carabinieri, poliziotti, procuratori, questori, politici di ogni rango, paladini della giustizia, difensori dei diritti umani a scadenza alternata, grandi filosofi e conoscitori dell’esistenza umana su facebook, femministe di razza e gli immancabili eroi di questa terra, senza dei quali non sapremmo che pesci prendere. Nessuno di loro, mai, è riuscito a mettere fine a questo scempio. E che ci sarà mai dietro questo donne, il Ku Klux Klan?


Donne vendute sotto effetto di alcool e droghe nel silenzio generale
Hanno qualsiasi età, alcune sono molto giovani tanto da sembrare adolescenti, esercitano il mestiere più antico del mondo a qualsiasi ora del giorno, attendono il prossimo cliente nelle piazzole del lungo rettilineo, a volte sono da sole, altre volte sono due, tre o quattro in pochi metri quadrati. La cosa più strana è che molto spesso queste donne sembrano essere in stato di alterazione, ballano come se nessuno le stesse guardando, cantano a squarciagola, fanno dei movimenti scoordinati al punto da pensare che siano sotto effetto di alcool e droghe. Forse lo fanno per lenire il dolore, per non sentire la lacerazione dell’anima quando il prossimo cliente violerà il loro corpo per qualche minuto di effimero piacere in cambio di soldi che dovranno consegnare al padrone. Ieri c’era una prostituta una con una parrucca biondissima, era stretta in una tutina nera aderente per ripararsi dal freddo. Per attirare l’attenzione degli automobilisti era seduta sul guard rail e si dimenava a mo’ di pagliaccio del circo allargando braccia e gambe. Una scena raccapricciante, che si consumava sotto gli occhi di tutti, mentre nel resto della regione ci si preparava ad esaltare il ruolo della donna tra un fritto misto e una cantata al karaoke.

Una vergogna regionale
Per quale motivo in tutti in tutti questi anni nessuno mai ha proposto una soluzione per togliere quelle donne dalla strada? Come mai nessuno ha pensato di scoprire chi sono le persone che da decenni mandano avanti questa consolidata organizzazione criminale guadagnando sul dolore e lo sfruttamento di centinaia di donne? Che cosa pensano turisti e visitatori che di anno in anno tornano nella nostra regione e puntualmente trovano quelle ragazze in vendita lungo la strada? Quante prostitute ci sono lungo le strade meno trafficate della Calabria, quante donne stanno aspettando invano che le istituzioni vadano a liberarle dall’inferno della prostituzione?

Nessuna donna al mondo dovrebbe festeggiare l’8 marzo fino a quando l’ultima di loro non sarà liberata dalla schiavitù e dalla violenza, soprattutto se ciò accade grazie al silenzio e alla complicità delle istituzioni. Unitamente alla strafottenza di certi uomini. Esattamente come avviene da decenni in Calabria.

Foto dal Web puramente indicativa

 

Articolo da LaCnews24