Di Francesca Lagatta

Il 79enne cetrarese Franco Muto, detenuto al 41bis nel carcere di Opera dal 19 luglio 2016, non ci sta a passare per lo spietato e sanguinario boss a capo dell’omonima cosca di ‘ndrangheta di cui parlano le indagini della magistratura ormai da decenni.

Nonostante sia il principale imputato del processo Frontiera, scaturito da una inchiesta della Dda di Catanzaro, continua a dichiararsi estraneo a certi giri loschi che gli avrebbero fruttato una pioggia di denaro. Così, quando durante l’ultima udienza al tribunale di Paola il pm Vincenzo Luberto gli ha chiesto di parlare delle recenti attività commerciali legate alla vendita del pesce, il capocosca, altrimenti detto “ù luongo” o “re del pesce”, ha spiegato di aver avviato una nuova impresa nel 2003 dopo aver centrato il “13” al Totocalcio, il noto concorso a premi in cui si vince indovinando gli esiti delle partite di calcio. Secondo il racconto del boss cetrarese, intervenuto tramite videoconferenza, la previsione azzeccata gli valse la bellezza di 330 milioni delle vecchie lire e fu grazie a questa cifra che poté continuare a campare la sua famiglia, in quel periodo ridotta in ristrettezze economiche a causa del sequestro della storica “Eurofish”, l’azienda di vendita all’ingrosso di prodotti ittici freschi e congelati intestata poi al genero Andrea Orsino.

«Sono stato assolto molte volte»
Al fine di rimarcare la sua innocenza nel processo che lo vede alla sbarra per associazione a delinquere di stampo mafioso, al termine delle domande del pubblico ministero, l’anziano boss ha specificato che nel corso degli anni ha ottenuto anche numerose assoluzioni rispetto alle accuse mosse dalla magistratura. Una su tutte, quella relativa all’omicidio di Giannino Losardo, avvenuto il 21 giugno 1980. La vittima era un consigliere comunale di Cetraro eletto tra le file del Partito comunista, nonché attivista antimafia e segretario capo della Procura della Repubblica di Paola. Per il suo delitto, Franco Muto venne rinviato a giudizio con l’accusa di esserne il mandante, ma la vicenda giudiziaria si conclude per l’imputato con una sentenza definitiva di piena assoluzione.