Il caro vecchio grido di battaglia impregna l’aria del cinema teatro Italia, a Cosenza. C’è anche quando non si sente. “Tutti a casa”. Anche quando a casa quei “tutti” ci sono già andati, perché il rischio che tornino è sempre dietro l’angolo. O dentro l’urna. Quelle di domenica prossima, per esempio, che pur riguardando il parlamento europeo si sa che poi tocca commentarle in casa. E farci i conti. Ma il vicepresidente del Consiglio e ministro Luigi Di Maio recita la sua formula anticasta, inanellando per quaranta minuti le parole che strappano applausi e grida entusiaste del “suo” popolo. Una ritorna più di tutte, che si parli di sanità, di lavoro, di giovani, di famiglie. Corruzione.

E in quell’unica parola racchiude un’intera classe politica. Da destra a sinistra. «Tutti coinvolti», dice. Ragione sufficiente, secondo Di Maio, per cancellare per sempre le due categorie che hanno fatto la storia della politica. «Io non accetto più questa storia di destra e sinistra». Via con un colpo di spugna, perché destra e sinistra sono roba di quegli altri, di quelli che «vogliono di nuovo fare lo scontro e convincerci che ci sono temi di destra e temi di sinistra». Invece, «ci sono solo cose giuste da fare e cose sbagliate da non fare». Il resto c’era una volta, forse, ma poi «quelli di destra hanno tradito le imprese e quelli di sinistra i lavoratori» e alla fine sono finiti dalla stessa parte, dice Di Maio: «C’è una cosa che li ha messi tutti insieme negli ultimi anni ed è la corruzione. Sono tutti corrotti». Né destra né sinistra, ma onestà contro corruzione, dunque, buoni contro cattivi, guardie contro ladri. “Noi” contro il resto del mondo.

Sanità, lavoro, Sud

Quel “noi” che, afferma il ministro dal palco, ha già dato prova di sé. Con quel «taglio ai privilegi» che è «solo l’inizio». «Qui c’è tutta una serie di questioni che dobbiamo affrontare. Una si chiama sanità. A me dispiace dover raccontare in giro per il mondo che in Italia c’è bisogno di commissariare la sanità di una regione mettendoci a capo un generale dei carabinieri. Ma lo abbiamo dovuto fare perché per anni la vostra sanità è stata il bancomat dei politici». Di Maio sventola il vessillo del Decreto Calabria. «Stiamo per approvare una legge che finalmente dice che la politica regionale non deve più fare le nomine nella sanità».

E poi il lavoro. «Il deserto industriale in questo Paese lo ha creato il conflitto di interessi politica-imprenditoria. Questi sono stati territori di scorribande, di politica corrotta che poi ha creato la mafia. La mafia senza la politica corrotta neanche esisterebbe».

E così la parola magica ritorna. «La corruzione, che è la vera emergenza nazionale di questo paese, si combatte sì con le leggi, ma si combatte prima di tutto con l’atteggiamento della politica». Una politica che non deve fare sconti, per il ministro. E l’attacco esplicito è al Pd e a Oliverio. «Qui da voi, Zingaretti doveva espellere il vostro presidente della Regione dopo la prima inchiesta per corruzione. Con la corruzione non c’entra niente il terzo grado di giudizio, è un’emergenza».

Ancora uno sguardo compiaciuto alle cose fatte, ma «noi non siamo nati solo per fare il reddito di cittadinanza». Ora si è entrati nella fase due, spiega Di Maio. «Nella prima fase ci siamo occupati di quelli che erano proprio a zero, però adesso c’è da aiutare la gente che tutti i giorni tira la carretta eppure non ce la fa». Che tradotto significa salario minimo garantito: «Dobbiamo fare una legge che finalmente dica che gli stipendi a 2-3 euro l’ora sono illegali».

E poi la rinascita del Sud: «Dobbiamo attrarre sempre più investimenti al Sud. Quando mi vedete andare all’estero è perché sto promuovendo le zone economiche speciali che stiamo creando, per permettere alle imprese di venire a investire qui. Ci sono tanti che vogliono venire a investire qui, però hanno bisogno di un governo che li difenda dalla corruzione».
Ancora, i contratti precari. «Quando ho fatto il decreto dignità tutti dicevano che era sbagliato. Quel decreto è nato per dire che si viene assunti con un contratto precario, però a un certo punto quel contratto deve diventare indeterminato, non si può stare tutta la vita con un contratto precario».

La partita delle Europee

Il fatto, il da farsi, e la partita dell’Europa, dove, dice Di Maio «dobbiamo andare a fare cose molto simili». «Stiamo creando un nuovo gruppo parlamentare che non è né di destra né di sinistra, che non starà né con quelli dell’austerity né con quelli dei muri in filo spinato, per portare avanti un obiettivo: rimettere al centro dell’Ue la persona e non la banca. Così come abbiamo fatto in Italia, anche a livello europeo ci andremo a riprendere i nostri soldi».

Né destra né sinistra, ripetuto come fosse un marchio di qualità. E infine la parola magica che torna anche nell’invito al voto. E il vecchio “tutti a casa” che riecheggia nell’aria. Forza Italia, Pd, i vecchi partiti a cui non si può permettere di tornare. I cattivi da mettere e lasciare dietro alla lavagna. I “mostri” che lui, Di Maio, ha visto all’opera. «Domenica vi chiedo anche un voto per punirli. Io li ho visti tutti insieme, il comportamento di tutti è stato uguale sulla corruzione».

Poco importa se con uno di quei vecchi il Movimento 5 Stelle va a braccetto da un anno. Forse non sempre col sorriso sulle labbra, ma comunque gomito a gomito. Tanto Luigi l’ha messo in chiaro che lui è uno che dice quello che pensa, alleati o no, e tanto basta al suo popolo per acclamarlo. (Mariassunta Veneziano)