Di Alfredo Sprovieri

Il voto in Calabria ieri ci ha restituito due risultati e due storie che senza dubbio alcuno vanno affastellati nel novero delle speranze.

A Gioia Tauro, città strategica per il suo porto e storicamente asfissiata dal condizionamento mafioso, è di nuovo sindaco Aldo Alessio. Per il capitano di lungo corso della Marina (i mafiosi nei verbali lo chiamavano il Comunista), è un ritorno a decenni di distanza dalla primavera gioiese, una stagione di antimafia sociale soffocata nel sangue dalle cosche locali, purtroppo in modo impunito. Perché fosse da esempio per tanti, infatti, la ‘ndrangheta recise a colpi di pistola il fiore del medico Gigi Ioculano (la sua straordinaria storia di coraggio è stata raccontata in modo esemplare dal giornalista prossimo Premio Losardo Pablo Petrasso), reo proprio di essersi schierato con la sua associazione e il suo giornale “Agorà”, dalla parte della lista di Alessio e contro il termovalizzatore voluto dai Piromalli. Era il 1998 ma certi vizi persistono: difatti in queste settimane la sede del comitato elettorale del capitano Alessio è stata distrutta da ignoti, senza però intimidire la maggioranza di votanti che ieri l’hanno voluto di nuovo come sindaco.

A Corigliano – Rossano, terza città più grande della Calabria (la prima per ricchezza e estensione territoriale) è stato invece eletto un sindaco della mia generazione. Una vittoria nettissima di un giovane ingegnere senza padrini contro un alto funzionario della Guardia Forestale dello Stato, condotta con poche liste zeppe di giovani competenze e fuori dagli schemi classici della partitocrazia.

Fin dagli anni dell’università sono personalmente testimone delle battaglie che Flavio Stasi (nella foto pubblicata da Francesco Sapia ritratto in testa all’ennesimo corteo di lotta) ha condotto con competenza e a mani nude, sempre in prima linea, dentro e fuori dalle istituzioni, spesso finendo isolato e processato. Nel 2011 subì anche una ignobile aggressione che lo fece finire in ospedale; non ebbe remore a denunciarla con una lettera che finiva così: “Potete spaccarmi tutte le ossa, potete sfigurare il mio volto e sfasciare la mia auto, potete accoltellarmi o spararmi, ma non farete neanche un graffio a quello che ho scritto, a quello che penso, e resterete comunque delle ignobili bestie senza dignità. A tutti gli altri, alla mia gente, imploro di non avere paura, di non restare in silenzio nei confronti delle ingiustizie e delle violenze, di avere il coraggio di vivere liberi, di essere Uomini”.