Di Francesco Cirillo

Ho sempre parlato dell’uso improprio che si fa delle sagre, ironizzandoci anche sopra. Le sagre sono nate per valorizzare una produzione del luogo. Si quindi a quelle sagre che vengono fuori dal territorio e da ciò che produce. Le sagre del vino, del cedro, della patata, del peperoncino, hanno un senso se si svolgono nei territori dove esiste una produzione e soprattutto una storia di quel prodotto. E invece vediamo la sagra della cozza in un paese di montagna, quella del gelato di Pizzo a duecento chilometri da Pizzo in un altro paese di montagna, la sagra del peperoncino dove non esiste un solo terreno coltivato a peperoncino e così via. Ora è la FIPE ( Federazione italiana dei pubblici esercizi), quindi un’autorevole voce, che lancia l’allarme sulla diffusione delle sagre. E così scrive: “ Ogni anno in Italia si svolgono oltre 42 mila sagre, in media 5 per ogni comune, per un complesso di 306.000 mila giornate di attività ed un fatturato di 900 milioni di euro; L’80% delle sagre si concentra nei mesi estivi, da giugno a settembre.

Picco assoluto nel mese di agosto con Il 34% delle giornate complessive dedicate; La Federazione Italiana Pubblici Esercizi fa il punto sull’abusivismo e sulle false sagre denunciando oltre 32.000 eventi privi di requisiti di autenticità e legami con il territorio; La stagione estiva arriva al suo apice nel mese di agosto e proprio in questo periodo si concentra il maggior numero di eventi di piazza, in particolare di sagre. A questo proposito, Fipe – Federazione Italiana Pubblici Esercizi – denuncia che sono circa 32.000 le manifestazioni prive di requisiti di autenticità che non promuovono prodotti tipici e non hanno legami con il territorio di riferimento. Una deriva commerciale che rischia seriamente di modificare la natura stessa di eventi che dovrebbero raccontare ed esaltare le tradizioni degli italiani. Assistiamo sempre più spesso a eventi a dir poco paradossali: la sagra del pesce di mare in alta montagna, con tanto di paella spagnola, a centinaia di km dalla costa, la sagra dell’arrosticino abruzzese nel varesotto, o le migliaia di feste della birra che fanno sembrare l’Italia una provincia tedesca. Questi sono solo alcuni esempi che dimostrano come, purtroppo, stiamo andando nella direzione sbagliata.” Più chiaro di così si muore, ma questa è oggi la nostra situazione e quello che però bisogna dire, in onore del vero, che ai turisti, alla gente in generale, queste sagre, comunque esse siano, piacciono e funzionano.

Ogni paese ha la sua sagra ed ogni anno, in quei giorni, il paese si riempie di gente, che partecipa solo per mangiare, il prodotto al quale è dedicata. E’ il solito vecchio cane, che si morde la coda. Il problema, che la Fipe , però non ha evidenziato, quante di queste sagre vengono finanziate con danaro pubblico. Sarebbe questa la vera questione. Perché se la sagra è organizzata in modo autonomo, autogestita, ci può anche stare, ma se questa viene finanziata dalla Provincia, dalla regione o dallo steso Comune, allora i conti non tornano. L’unica via d’uscita sarebbe quella di una legge nazionale che dia la possibilità di elargire il finanziamento solo a quelle sagre che nascono dai territori con una lunga tradizione del prodotto che si vuole festeggiare.

“I dati che riguardano il fenomeno delle sagre sono davvero impressionanti, ma ciò che ci spaventa di più è l’abusivismo dilagante. Sono tantissime le manifestazioni che non hanno requisiti di autenticità e non raccontano nulla dei territori dove vengono organizzate, mettendo da parte tradizioni e cultura in nome del profitto. – commenta Lino Enrico Stoppani, Presidente Fipe – Inoltre, c’è da segnalare che questi eventi generano un volume d’affari di circa 600 milioni di euro su cui non ci sono imposte e contributi, con grave danno, non solo per l’erario, ma anche per tutti quei pubblici esercizi che devono rispettare leggi molto stringenti in materia di fisco, di sicurezza alimentare, di igiene, di accessibilità per disabili. Se le regole non sono uguali per tutti le “finte” sagre diventano una concorrenza che erode spazio e mercato ai pubblici esercizi onesti, obbligati sempre e comunque ad avere tutte le carte in regola”. “In generale la Federazione non è assolutamente contraria a queste manifestazioni – prosegue Stoppani – Tuttavia, crediamo sia importante dare priorità a quegli eventi enogastronomici con una riconosciuta valenza di tradizione, magari coinvolgendo gli operatori del territorio con la possibilità di creare partnership con i ristoranti della zona per proporre menù tipici ad hoc. Inoltre, sarebbe opportuno un intervento delle Istituzioni, con la creazione, da parte di ogni Regione, di un proprio registro delle sagre autentiche, per fornire ai Comuni delle linee guida da seguire”.