Di Antonello Troya

Era il 18 novembre del 1981, quando una serie di colpi di pistola uccisero Santo Nigro, commerciante di via Popilia a Cosenza. Le indagini aprirono uno squarcio sulla malavita cosentina, indagini focalizzate sul clan Perna-Pranno e su presunti affiliati Carmine Luce (deceduto), Pasquale Pranno e Antonio Musacco, Mario Pranno e Francesco Saverio Vitelli, presunto esecutore Aldo Acri. Secondo l’accusa il clan aveva deciso la sua morte per dare l’ “esempio” a tutti gli altri commercianti ed imprenditori, che il gesto servisse da “monito” per tutte le altre vittime che si rifiutavano di pagare il pizzo. Acri ne avrebbe decretato la fine sparandolo nel suo negozio. Sotto i colpi calibro 38 anche il figlio Silvio che rimase ferito.

Oggi l’udienza che ha stabilito la costituzione di parte civile del figlio Giuseppe “Pino” Nigro. La ragione della costituzione di parte civile, fa presente il figlio, difeso dall’avvocato Alessandro Gaeta, sta nel fatto che è convinto che finalmente potrà essere accertata con sentenza la verità sul movente dell’omicidio del padre. Infatti, egli non ha mai creduto a quanto si diceva sino a qualche tempo fa, e cioè che il padre, Santo Nigro, si era ritagliato un suo ruolo in una locale di mafia cittadina ed era stato ucciso perché aveva commesso uno “sgarro”. La sua convinzione è sempre stata quella, per come recita lo stesso capo di imputazione, che il padre aveva solo opposto un fermo rifiuto “alla richiesta di pagare l’estorsione all’associazione mafiosa denominata PERNA-PRANNOnonché per darel’ “esempio” a tutti gli altri commercianti ed imprenditori, dunque in modo che il gesto servisse da “monito” per tutte le altre vittime”.

In seguito al fatto di sangue, Giuseppe Nigro, poco più che ventenne, è stato costretto ad un immediato e radicale cambio di vita che lo ha allontanato da Cosenza, luogo in cui era cresciuto e vi aveva abitato sino a quel momento, per trasferirsi con madre, sorella e fratello a Belvedere M.mo, luogo in cui il padre era proprietario di un fabbricato. La voce del falso movente, ha contribuito a rallentare fortemente il processo di integrazione del giovane nel nuovo tessuto sociale. Infatti, a causa di tale “voce”, da allora è stato visto come soggetto intraneo alla ‘ndrangheta (in particolare alla cd. cosca Muto di Cetraro) e, per tale motivo, è stato coinvolto in processi penali istruiti dalla DDA di Catanzaro per fatti di asserita matrice mafiosa dai quali, tuttavia, è sempre stato assolto. 

A tanto si aggiunga che il Nigro, in seguito al fatto di sangue, non solo ha perso il padre ma, per come potrà essere dimostrato nel corso del processo, dopo alcuni anni, ha perso anche il fratello Silvio. Infatti, per come risulta in atti, altra vittima del commando ‘ndranghetista è stato il fratello Silvio Nigro, il quale, oltre a vedere il padre morire sotto i propri occhi, nelle medesime circostanze di tempo e di luogo, è stato attinto da colpi di arma da fuoco. Tali eventi hanno ingenerato in lui il convincimento che i killer avessero avuto incarico di ucciderlo e che solo per un caso fortuito non vi erano riusciti. La conseguenza del duplice trauma subito lo ha sottoposto ad un vero e proprio cataclisma a livello di sistema psichico e, da allora, Giuseppe Nigro si è dovuto far carico del fratello fin quando, all’età di 25 anni, cioè sei anni dopo l’omicidio del padre, è deceduto in Roma, presso la casa di cura per igiene mentale “Villa Armonia”.