Di Maria Lombardo

Si alza nuovamente la voce disperata dall’avvocato Giuseppe Antonio De Pace e dalla signora Sara Scarpulla questa volta accusano Libera di aver lasciato sola la Signora Sara madre di Matteo Vinci, ucciso dall’autobomba esplosa a Limbadi il 9 aprile scorso, e suo marito Francesco Vinci, sopravvissuto, pur con gravissime e permanenti ferite, allo stesso attentato. A queste latitudini si chiamano clan Mancuso, ma sono rappresentate anche da entità, satelliti, subordinate o rivali che – come ha ribadito il procuratore Nicola Gratteri, sin dal suo insediamento, esprimendo una posizione rivoluzionaria rispetto all’approccio avuto dalla magistratura requirente in epoche antecedenti – costituiscono una criminalità organizzata di Serie A. Libera si è difesa tramite le parole di Don Ennio Stamilele accuse lanciate dall’avvocato De Pace che davanti alle telecamere che ha strappato le tessere dell’associazione di don Ciotti, rea – a giudizio del legale – di aver abdicato al proprio ruolo e aver contribuito alla solitudine della signora Sara.
Bisogna arrestare mandanti ed esecutori materiali della strage del 9 aprile. E presto, speriamo, ciò avverrà. Nel frattempo non si dica – non lo faccia, non lo ripeta, l’avvocato De Pace, il quale certamente ringraziamo per aver salvaguardato il lavoro di “scorta civica” dei giornalisti – che servono dei contractor per proteggere la signora Sara, né, soprattutto, che bisogna ingaggiare “investigatori privati possibilmente stranieri” per indagare e risolvere questo caso. Ciò perché significa ferire ingiustamente l’immagine di una Procura antimafia e di un’Arma forse mai così presenti e al contempo cosi forti in questo avamposto”. Secondo l’avvocato della famiglia Vinci qui lo Stato non c’è. Libera ancora risponde “E allora, non lasceremo mai sola Sara Scarpulla, daremo sempre voce all’avvocato De Pace che si è sempre speso per proteggere questa donna, la sua famiglia e ciò che rappresentano: vittime di mafia. Non si dica, però, che qui lo Stato non c’è. Perché ciò significa commettere un’ingiustizia clamorosa nei confronti di chi, ora più che mai, come questa Dda e questi carabinieri, lavora per rendere giustizia a Matteo e a tanti come lui, con la vita o la paura, rappresentano le vittime dimenticate di una criminalità organizzata che è stata padrona e che ora non lo è più”.