Presieduta dal giudice Paola Lucente, si è svolta questa mattina in Corte D’Assise al tribunale di Cosenza, una nuova udienza sullo stralcio del processo riguardante l’omicidio di Francesco Bruni alias “Bella Bella”, esponente di spicco della criminalità organizzata cosentina, che vede sul banco degli imputati il boss Franco Presta, difeso dagli avvocati Franco Locco e Lucio Esbardo. Presta, già condannato all’ergastolo e detenuto nel carcere di Sassari, è ritenuto mandante ed esecutore materiale dell’omicidio avvenuto a Cosenza il 29 luglio del 1999 all’uscita del carcere di via Popilia, dove era recluso in regime di semilibertà e “fatto fuori” per bloccare la sua ascesa che stava arrivando anche sulla costa tirrenica. In videoconferenza sono state acquisite le testimonianze di tre collaboratori di giustizia: Vincenzo Dedato, Angelo Colosso e Francesco Bevilacqua che hanno parlato degli esecutori materiali e mandanti.

Il primo ad essere ascoltato in aula è stato Vincenzo Dedato, collaboratore dal 2007, ritenuto dagli inquirenti l’ex contabile del clan Lanzino, già processato per l’omicidio di Francesco Bruni con sentenza passata ingiudicata. Dedato, al Pubblico Ministero Camillo Falvo, ha confermato quanto già dichiarato durante le testimonianze del 15 novembre e 6 dicembre del 2011 al Tribunale di Cosenza, ribadendo quanto dichiarato all’epoca, ovvero che ad uccidere Francesco Bruni fu Franco Presta. Ai difensori di Presta Dedato ha dichiarato di non aver mai partecipato materialmente all’omicidio di Francesco Bruni, ma che era a conoscenza della decisione di uccidere “Bella Bella” anche se in modo indiretto “la decisione fu presa da Carmelo Chirillo, Ettore Lanzino e dallo stesso Franco Presta che fu l’esecutore materiale. Ho saputo della decisione di uccidere Bruni da Ettore Lanzino. Mi disse che l’obiettivo dell’uccisione originariamente era il figlio Michele, detto “Bella Bella junior”, ma quando hanno saputo che Francesco Bruni aveva ottenuto il regime di semilibertà, decisero di cambiare obiettivo. Francesco Bruni, ottenne la semilibertà e scelse di tornare a Cosenza per stare vicino alla famiglia. Lanzino mi disse che la decisione di cambiare obiettivo fu presta anche perché, rimanendo in vita il padre, ed avendo più conoscenze e amicizie del figlio, avrebbe potuto organizzare una contromossa molto più valida. Ma non ricordo se mi fu detto prima o dopo l’omicidio. Non ci furono vere e proprie riunioni. Spesso ci incontravamo in un bar di via Popilia, a casa di Chirillo o sul posto di lavoro e la magari si decideva compiere un certo tipo di azione e poi si agiva, ma non si programmavano riunioni con un ordine del giorno prestabilito. Venni a sapere della morte di Francesco Bruni il pomeriggio stesso da Raffaele Pellicanò che aveva il ruolo del recupero. Poi ho avuto conferma dallo stesso Franco Presta che mi raccontò, qualche giorno dopo, anche le modalità dell’esecuzione, dicendomi di aver sparato un colpo dal basso verso l’alto. Pellicanò, che morì successivamente in un incidente stradale uscendo fuori strada con l’auto, mi disse che era stato ucciso Francesco Bruni e di avere un certo timore perché l’agguato avvenne a bordo di una moto. Era una moto di grossa cilindrata di tipo enduro, custodita e nella disponibilità di Chirillo a Paterno o li vicino. Pellicanò mi disse che alcuni del clan Bruni lo avevano visto a Piazza Riforma con in macchina un casco da motociclista. Con Francesco Bevilaqua ho parlato ma non ho mai raccontato né l’esecutore né la modalità”.

Fonte Quicosenza, che ringraziamo