Da quando Salvini ha degradato sul campo il povero Savoini a semisconosciuto-millantatore-imbucato, non fanno che uscire fotografie e selfie dei due amorevolmente avvinghiati in tavoli di lavoro o di banchetto italo-russi, visite ufficiali e ufficiose, convegni, conferenze, simposi, pranzi, cene, colazioni, merende, gite fuori porta sulla piazza Rossa di Mosca, a Parigi, a Londra, in Marocco, nel Donbass, in Crimea, ad Arcore, a Roma. Manca solo quella del matrimonio, magari a Sabaudia, come quella fra Tiziano Ferro e Victor Allen. Un’affettuosa amicizia vieppiù imbarazzante, alla luce dell’audio che immortala il “Savo” nella hall dell’hotel Metropol di Mosca con altri due italiani e tre russi intenti a concordare una mega-fornitura di gasolio e cherosene all’Italia in cambio di una stecca di 65 milioni di dollari alla Lega. Ora, siccome Savoini ha accompagnato Salvini a Mosca almeno 9 volte in 4 anni (e il suo compare Claudio D’Amico almeno 5 volte), più la cena a villa Madama a Roma offerta dal governo Conte a Putin il 4 luglio (dove fu D’Amico, consigliere di Salvini, a far invitare Savoini), si fa di tutta l’erba un fascio. Come se i viaggi a Mosca fossero tutti uguali. Non è così.

Già è grave che il presidente leghista della Associazione Lombardia-Russia accompagni il suo leader e poi il vicepremier e ministro dell’Interno nelle visite all’estero senza un incarico preciso. Ma è infinitamente più grave che sieda al suo fianco in un incontro ufficiale e ristrettissimo fra ministri dell’Interno. Dimentichiamo per un attimo le foto delle varie occasioni politico-conviviali in cui troneggiano Salvini&Savoini con decine o centinaia di persone. E concentriamoci sul vertice bilaterale, primo e ultimo di cui si abbia notizia, del 16 luglio 2018 a Mosca fra Salvini e il suo omologo russo Vladimir Kolokoltsev. I bilaterali ministeriali prevedono pochissimi interlocutori, cioè i membri dei rispettivi staff istituzionali, un’agenda che investe questioni di sicurezza nazionale, dunque l’obbligo di riservatezza per tutti i partecipanti sui temi trattati.

Ora, a quel vertice Salvini portò con sé Savoini. A quale titolo? Salvini ha appena dichiarato a Repubblica: “Savoini non ha mai fatto parte delle delegazioni ufficiali in missione a Mosca con il ministro né a quella del 16 luglio né a quella del 17 e 18 ottobre 2018”. E allora perché sedeva al tavolo ufficiale? La risposta l’ha data lo stesso Savoini un anno fa, appena rientrò in Italia.Cioè in tempi non sospetti, prima dello scandalo. Il 17 e 18 luglio 2018 dichiarò al Foglio e a Repubblica: “Sono nella Lega dal 1991, coordino gli incontri di Salvini con gli ambienti russi… Chi critica la mia presenza, legittimata dal ministero dell’Interno, è rimasto fuori dalla storia. Io ho contribuito con i miei contatti, come ho sempre fatto… visto che da sempre ho contatti istituzionali”, “Ho sempre fatto parte delle delegazioni in Russia di Salvini sin da quando veniva come segretario della Lega. Visite che ho contribuito a organizzare”. Quindi per Salvini non ha mai fatto parte delle sue delegazioni, mentre Savoini assicura di averne sempre fatto parte. E i fatti dimostrano che Savoini dice la verità, mentre Salvini mente. Non tanto sugli incontri conviviali o di partito, dei quali poco ci importa. Quanto su quel bilaterale istituzionale fra ministri dell’Interno, in cui Savoini ascoltò cose che non avrebbe dovuto ascoltare.
Si spera che ne abbia fatto buon uso.

Ma un possibile cattivo uso è proprio quello immortalato dall’audio dell’incontro su petrolio&tangenti al Metropol. Nessun mediatore politico-affaristico russo si metterebbe mai a trattare, tantomeno nella hall di un hotel, con un possibile millantatore che dice di parlare a nome di un partito di governo italiano, senza poterne verificare le credenziali. Ma le credenziali di Savoini erano in quella foto al tavolo con Salvini e Kolokoltsev: se il ministro dell’Interno di Putin, nonché capo della polizia e dei servizi segreti, si fida a parlare in sua presenza, Savoini può tutto e non deve chiedere mai. Ora Salvini avrebbe un’unica, strettissima via d’uscita dal vicolo cieco in cui s’è cacciato con simili personaggi e cotante bugie: ammettere che Savoini era membro delle sue delegazioni ufficiali, ma mai era stato da lui autorizzato a trattare questioni finanziarie; e poi espellerlo su due piedi dalla Lega per aver tradito la sua fiducia, messo nei guai il partito e in imbarazzo il governo. Perché non lo fa? Evidentemente perché non può. E perché non può? Forse perché Savoini e Salvini sanno qualcosa che non ci hanno ancora detto e temono emerga dalle indagini dei pm di Milano o di altre registrazioni, di quell’incontro o di altri precedenti o successivi?

È lo stesso copione dello scandalo Siri (indagato per corruzione e ieri al fianco di Salvini nel tragicomico incontro con i sindacati al Viminale) – Arata (in galera per corruzione) – Nicastri (ai domiciliari per corruzione e mafia, da ieri molto loquace con i pm su presunte mazzette a Siri). Su entrambi gli scandali è doveroso e urgente che Salvini risponda agli italiani in Parlamento. Ufficializzando la sua versione del caso Russia, affidato finora a battutine, attacchi ai giornalisti e ai magistrati, dichiarazioni sparse qua e là a spizzichi e bocconi, perlopiù contraddittorie o comunque contraddette. E recandosi finalmente in commissione Antimafia, dove il presidente Nicola Morra l’ha convocato “urgentemente” tre volte dal 7 maggio per raccontare tutto quel che sa di Arata&Siri. Perché non ci va? Ha qualche problema con il Parlamento? O con la verità?