Lucano non può gestire la Cosa Pubblica né gestire denaro pubblico mai ed in alcun modo. Egli è totalmente incapace di farlo e, quel che ancor più rileva, in nome di principi umanitari ed in nome di diritti costituzionalmente garantiti viola la legge con naturalezza e spregiudicatezza allarmanti». Sono parole pesantissime quelle che ilTribunale del Riesame di Reggio Calabria utilizza nei confronti delsindaco di Riace, nelle motivazioni con cui è stata decisa la revoca degli arresti domiciliari e disposto il divieto di dimora nello stesso comune.

Si tratta di 165 pagine di fuoco in cui il presidente Tommasina Cotroneo sostanzialmente smonta pezzo per pezzo le argomentazioni difensive,apparendo quasi più severa rispetto alle valutazioni del gip, pur avendo disposto una misura più tenue dal punto di vista cautelare.

Buoni propositi sporcati

«Quel che consegna il compendio attizio – scrive il giudice – è quanto meno un Lucano afflitto da una sorta di delirio di onnipotenza e da una volontà pervicace ed inarrestabile di mantenere quel sistema Riace rilucente all’esterno, ma davvero opaco e inverminato da mille illegalità al suo interno». Il collegio tiene a sottolineare che «qui non vengono messi in discussione i buoni propositi o la sussistenza di ragioni anche umanitarie (e si tratta del passaggi più tenero dell’intero provvedimento, ndr), ma si vuol rappresentare che tutto questo nel tempo è stato annacquato e sporcato da una mala e opaca gestione, da mille violazioni di legge e da una volontà sempre più forte ed incontenibile del Lucano di dare l’immagine al mondo esterno di un modello di integrazione e di salvarne ed esportarne le fattezze esteriori a tutti i costi più che di far sì che quel modello apparentemente perfetto lo fosse invero realmente».

 

Lucano, dunque, «ad un certo punto ha perso la bussola ed il senso dell’orientamento della legalità, tanto da far prevalere sugli scopi e le ragioni umanitarie la voglia di apparire e di presentare all’esterno un sistema che era tutt’altro che perfetto. Le condizioni dell’indagato, affioranti dalle carte, sono molteplici e creano certamente sconcerto». I giudici scavano a fondo nelle carte e scoprono che «se la questione dei lungo permanenti, ossia del numero rilevante di immigrati che Lucano manteneva a Riace con i soldi pubblici pur non avendo più costoro alcun titolo per rimanervi, potrebbe rappresentare, pur nella evidente violazione di legge, espressione di nobili motivazioni», tuttavia essa «perde appeal umanitario sol che si ascoltino i dialoghi nei quali Lucano con fastidiosa fredda faceva della questione un fatto di numeri e mission per Riace». Il sindaco era sicuro che nessuno avrebbe fiatato, pur nell’illegalità, perché «molti del luogo lavoravano per le associazioni e quindi vivevano grazie alla manna del denaro pubblico e non avrebbero avuto ragione di denunciare i fatti». Insomma, a giudizio del Riesame, «le persone, la cui sofferenza e il cui terribile vissuto verrebbero da Lucano portate a vessillo del suo agire, si trasformano contraddittoriamente in freddi numeri».

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