Cosa fareste voi con un miliardo e quattrocento milioni? Difficile anche immaginare una simile quantità di denaro, vero? E se poteste utilizzarli solo per il vostro territorio, qual è la prima cosa che fareste? Sullo Ionio hanno deciso e ci fanno 38 km di strada: la 106 ter. Per le popolazioni che vivono sul lato tirrenico della Calabria è uno shock vero e proprio: le montagne e i parchi naturali che separano le due coste somigliano alla siepe dell’Infinito di Leopardi e uno immagina una Calabria ionica diversa: servizi eccellenti, ferrovie, ospedali, borghi ridenti e rivitalizzati. D’altra parte, se uno usa quasi un miliardo e mezzo per una strada nuova, il resto coma sarà? Tra l’altro sapendo che ce ne sono già altre due parallele al tracciato di quella che sarà la terza! Una Las Vegas calabrese praticamente. Gli attivisti di R.A.S.P.A. (Rete Autonoma Sibaritide e Pollino per l’Autotutela) raccontano una storia diversa e molto più complicata che proveremo a ripercorrere. Non si tratterebbe di una strada verso il futuro ma, in questa dannata terra dove il tempo sembra scorrere circolarmente, una strada rivolta al passato, dove i solchi d’asfalto si mescolano con quelli di sangue.
Eppure spacciano l’idea che su questa strada passerà il futuro, mentre le comunità aspettano dal passato diversi presidi ospedalieri (si pensi a quello di Trebisacce), una vera gestione della raccolta rifiuti degna di questo nome. Una rete di trasporti decenti: la linea ferroviaria è usata quasi esclusivamente per il transito delle merci, i paesi dell’interno risultano spesso isolati date le condizioni delle strade interne (queste sì, da ammodernare e, in alcuni casi, da ricostruire interamente). Se tutto ciò è vero, come si pensa che 38 km di strada possano sottrarre questa terra al suo isolamento ultradecennale?
In un contesto così ridotto, anche agitare la bandiera del lavoro e di una illusoria ricaduta occupazionale su iniziative legate ad arte alle esigenze di un sistema produttivo che si basa esclusivamente su agricoltura e turismo significa non comprendere ancora una volta la specificità dell’Alto Ionio. Significa porre in conflitto l’occupazione purchessia, in qualsiasi condizioni venga svolta, e la salute e l’effettivo benessere della gente.
La 106 ter, così come è previsto che venga costruita, sarà un’insanabile offesa, anche visiva, ai valori paesaggistici e storici del territorio. Ma il pericolo maggiore che corrono queste terre è quello di essere fagocitate dal grande cantiere. Esso, per quasi 8 anni (ma scommettiamo che saranno molti di più?), coprirà come un manto opaco tutti i problemi di un luogo che è tenuto stabilmente da decenni sotto i canoni accettabili di civiltà. Il futuro passa per altre strade, fatte di visione, non di soldi.
Resta il dubbio che anche questa strada, come tante altre in Calabria, sia candidata a restare a lungo sul groppone dei contribuenti. Anche perché, si sa, strade come queste non collegano mai cittadine, non connettono mai comunità. Vengono da altri mondi, calate dall’alto, senza tener conto delle effettive esigenze di un territorio e lanciate, senza una giustificazione valida, su una terra fatta da sempre di sassi vecchi e contadini duri e disinteressati. Queste strade, in fondo, collegano i luoghi del potere e quelli del denaro. Lastricano carriere e portano ai palazzi degli interessi, dai quali però gli abitanti del luogo sono esclusi. L’appalto di questa 106 ha una storia lunga e complicata e tra le opzioni proposte dalla stessa ANAS, quando la storia iniziò nel 2001, non era stata neanche presa in considerazione. Poi Astaldi (non un’azienda qualunque: per intenderci quella del Mose e del Ponte sullo Stretto) vince l’appalto insieme a Salini-Impregilo ma, tra un guaio giudiziario e l’altro, finisce in concordato preventivo. Così, per salvare un volume di interessi economici e politici giganteschi, Pietro Salini, con il supporto del governo e dei risparmi postali degli italiani custoditi (per modo di dire) in Cassa Depositi e Prestiti, lancia il nuovissimo progetto Italia, istituendo, tra l’altro, Webuild, il megagruppo delle costruzioni che contiene tutte le banche creditrici di Astaldi, sicuramente tra le prime ad essere interessate a fare un bel lavoretto sullo Ionio. O no?
Ma chi spaccia questa strada per futuro? La classe dirigente calabrese. Non tutta. Bisogna prestare attenzione: la Bossio, ultima in ordine di tempo, dice di vigilare perché i lavori procedano spediti; mentre qualche tempo fa, insieme all’ex presidente Oliverio e ad Adamo, protestava per qualsiasi ritardo. In campagna elettorale Salvini twittava augurandosi l’inizio dei lavori e aggiungendo che ci sono investitori esteri pronti a dare una mano. Renzi che vuole aprire tutti i cantieri d’Italia, addirittura sospendendo il codice degli appalti. D’altra parte il cantiere della 106 rientrava già nel suo “Sblocca Italia”. Già da soli questi nomi, ai quali bisogna aggiungere quelli di diversi parlamentari calabresi del Movimento 5 Stelle, della De Micheli e della Santelli, ci raccontano di una continuità tra un sistema di potere che, da destra a sinistra, prima e dopo, non prevede alcun cambiamento. Che poi i primi nomi non fanno venire in mente altri lavori pubblici? La stazione sciistica di Lorica, Piazza Fera a Cosenza, l’aviosuperficie di Scalea. Al centro dell’inchiesta “lande desolate” e in molte altre è emersa, a prescindere dalle responsabilità politiche, una gestione padronale e scellerata dei soldi e viene il sospetto che anche con il terzo macrolotto finisca allo stesso modo. I lavori della 106 ter raccontano in maniera plastica i cambiamenti del potere calabrese che negli ultimi tempi si è spostato sullo Ionio, ma per capirlo occorre partire dagli omicidi maturati nel contesto criminale, paralleli agli appalti e arrivare fino alle indagini del pm Facciolla.

Saverio Di Giorno
Alessandro Gaudio (attivista RASPA)