Di Francesca Lagatta

Se non fosse stato per i nervi saldi dei medici, a quest’ora staremmo raccontando un’altra tragedia, perché evidentemente ai piani alti della sanità cosentina la morte di Santina Adamo non ha insegnato niente a nessuno. Ieri stava per succedere di nuovo e per fortuna non è successo, ma solo perché i camici bianchi, dopo sei giorni di polemiche e dolore, di pressione mediatica e di controlli serrati, sono riusciti a trovare la giusta lucidità per salvare un’altra giovane mamma, come pure è accaduto tante e tante volte in questi anni.

La vicenda
Proprio mentre ieri pomeriggio era in corso l’ispezione ministeriale al nosocomio cetrarese, nella struttura giunge una ragazza di 19 anni in preda alle doglie.

La paziente viene presa in carico dai sanitari e quando è tutto pronto, le porte della sala parto si spalancano e la donna dà alla luce un bel bambino. Va tutto bene, mamma e figlioletto stanno benissimo. Il problema sorge quando la paziente torna in corsia. Ha una atonia uterina, ossia la perdita patologica di tono muscolare dell’utero che rende impossibile la contrazione dopo il parto. La donna, poco, dopo ha un’emorragia. I medici fanno esattamente ciò che hanno fatto per Santina: tutto ciò che c’era da fare. Ma di sangue, esattamente, come la notte del 17 luglio scorso, non ce n’è a sufficienza. Nell’emoteca dell’ospedale cetrarese c’è una sola sacca di sangue, che viene immediatamente usata per la paziente. Di conseguenza parte la richiesta per la consegna di altre 4 sacche di sangue. Che arrivano, ma come sette giorni fa dopo oltre un’ora, perché il centro trasfusionale si trova a 25 chilometri di distanza.

Il copione è lo stesso dell’altra notte, anche i timori e la disperazione dei medici, che non potrebbero sopportare un altro dramma simile. Per fortuna, stavolta, il finale è diverso. Il sangue arriva in tempo e la giovane si salva. Mamma e bimbo potranno coccolarsi a vicenda e tornare a casa per vivere la loro storia di vita e d’amore. Ma quante altre volte dovremo continuare a confidare nel destino prima di avere una sanità degna di questo nome?