Di Alan

Con la sentenza definitiva della Cassazione, i magistrati e le forze dell’ordine hanno accertato la presenza nel territorio del capoluogo di provincia (e dintorni) di un gruppo mafioso forte e potente. Parliamo del clan “Rango-zingari”.

Le condanne, tutte passate in giudicato, creano un vuoto decisionale nelle organizzazioni criminali o la riorganizzazione è già partita da tempo? A rispondere a questa domanda ci pensano, indirettamente, i collaboratori di giustizia e le indagini della magistratura inquirente che, con la collaborazione di carabinieri, polizia e guardia di finanza, cerca di mettere insieme i pezzi di un puzzle che poco alla volta si compone di nuovi reati e strategie.

Nei giorni scorsi, abbiamo parlato del tentato omicidio di Pino De Rose, avvenuto nel 2004. Un evento delittuoso lontano dall’attualità, ma che in realtà ha permesso alla Dda di Catanzaro di acquisire altri elementi indiziari su altrettanti fatti omicidiari, sui quali il procuratore capo Nicola Gratteri intende proseguire con il piede sull’acceleratore. Così com’è avvenuto nei mesi scorsi per l’assassinio di Franco Marincola e del duplice omicidio Tucci-Chiodo.

Non è da meno, quindi, quello di De Rose che secondo l’allora clan “Bruni-zingari” aveva teso una trappola al figlio di Francesco Bruni senior, ucciso a 16 anni nella Presila cosentina nel 1991. Una vendetta non consumatasi per una serie di circostanze che ha raccontato direttamente Daniele Lamanna

Aspiranti “cantanti”
Agli inizi del 2000, come spiegherà il collaboratore di giustizia Franco Bevilacqua, meglio conosciuto come “Franchino i’ Mafarda”, la città di Cosenza aveva diversi gruppi criminali operanti nel settore delle estorsioni, rapine, usura e droga. C’era quello di Cicero e Perna, quello di Lanzino ed iniziava a crearsi una propria autonomia quello degli “zingari”, che all’inizio puntava sui cosiddetti “cavalli di ritorno” ed era specializzato negli assalti ai portavalori. Ci si allearono Michele Bruni e soci, dopo una guerra di mafia che aveva causato diversi omicidi eccellenti, quali quello di Francesco Bruni senior e Antonio Sena.

In questo contesto, tra contrasti vari sugli appalti pubblici relativi all’A3, svelati nell’inchiesta “Tamburo”, matura la cosiddetta strage di via Popilia. Qualche mese dopo, colui il quale guidò il commando di fuoco, ovvero Bevilacqua, passa dalla parte dello Stato, collaborando con la Dda di Catanzaro. Le sue dichiarazioni riempiono pagine di fogli A4, con tutte le dinamiche interne al suo gruppo.

Il gruppo di via Popilia, però, teme che altri soggetti vicini a “Mafarda” possano seguirlo nella collaborazione con la giustizia e, come spiega il pentito Daniele Lamanna, vengono inghiottiti dalla “lupara bianca”, facendo perdere le loro tracce. Casi irrisolti, quelli di Sestino Bevilacqua e Gianfranco Iannuzzi, sui quali la Dda spera di vedere la luce in fondo al tunnel.

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