Di Francesca Lagatta

Il “Re del pesce”, pseudonimo attribuito al boss di Cetraro Franco Muto, si trova agli arresti domiciliari perché «lo impone la legge per tutti i detenuti comuni ultrasettantenni, le sue condizioni di salute non c’entrano». Lo ha affermato all’Agi uno dei due avvocati, Luigi Gullo, per mettere a tacere le polemiche scaturite dalla concessione del beneficio e che hanno generato all’unanimità il disappunto del mondo politico. «Finché si registrano certe prese di posizione da parte di movimenti populisti che cavalcano questi argomenti o da chi milita in partiti che professano ordine e disciplina, la cosa non mi meraviglia – ha detto il legale -. Mi meraviglia, invece, che nel Pd ci sia chi rimanda ai libri di Gratteri (è il caso del senatore Ernesto Magorno, ndr) invece che alla Costituzione o ai codici». Il boss Muto era stato arresta durante una maxi retata messa a segno dalla Dda di Catanzaro nel 2016 e fino allo scorso luglio era detenuto nel carcere di massima sicurezza di Opera in regime di 41 bis. Dopo la sentenza del tribunale di Paola, che lo ha scagionato dalle accuse di associazione a delinquere di stampo mafioso, l’uomo era finito nel carcere ordinario per finire di scontare la pena di 7 anni e 10 mesi per intestazione fittizia di beni, con cui aveva eluso un provvedimento di confisca della Eurofish, società di vendita all’ingrosso e al dettaglio di pesce fresco e congelato. Reato, hanno accertato i giudici, aggravato comunque dal metodo mafioso.

«Un detenuto come gli altri»
Poi Gullo ha aggiunto: «Non si può essere garantisti solo quando arriva un avviso di garanzia al presidente della Regione, Mario Oliverio. Caduta l’associazione mafiosa – afferma ancora Gullo – Franco Muto è un detenuto comune, sebbene con un nome pesante. Per questo, come prevede la legge per gli ultrasettantenni, le sue condizioni prevedono che sconti la pena ai domiciliari». Quello di Muto è un nome pesante perché onnipresente nella cronaca nera e giudiziaria degli ultimi 30 anni. Secondo i giudici Muto sarebbe a capo dell’omonima cosca di ‘ndrangheta che controlla il territorio del Tirreno cosentino. Anzi, sarebbe stato, perché negli ultimi tempi il clan, secondo la ricostruzione degli inquirenti, sarebbe finito nella mani del figlio Luigi, arrestato nella stessa operazione di tre anni fa, denominata Frontiera, e condannato con il rito abbreviato a più di 15 anni di carcere.

Muto è in buone condizioni di salute
Le condizioni di salute di Franco Muto, specifica l’avvocato, «erano compatibili con la detenzione, gli è stato invece riconosciuto il beneficio dovuto all’età avanzata. Il tribunale della Libertà ha solo preso atto della legge. Si tratta, peraltro, di una normativa votata proprio dal Pd nel 2014-2015». Le perizie, in effetti, sono state effettuate più volte, perché in diversi occasioni gli avvocati avevano invece dichiarato il contrario, e cioè che i gravi problemi di salute del loro assistito non avrebbero consentito la permanenza in carcere, in particolar modo quella in regime di 41bis. L’uomo, 79 anni, a gennaio del 2018 era stato finanche ricoverato in ospedale a seguito di un malore e ad ottobre di un anno fa gli avvocati aveva chiesto nuovamente la scarcerazione. Ma il Tribunale della Libertà finora l’aveva sempre respinta.