Riceviamo e Pubblichiamo

Uno striscione un po di musica da una cassa sgangherata e qualche saluto da un microfono aperto. Un presidio solidale con i nostri fratelli privati della libertà a testimoniare che le sbarre e i muri di cinta non possono recidere i legami.

Il nostro pensiero verso chi viene barbaramente rinchiuso in una galera riesce a varcare mura e confini altrimenti insormontabili. Viviamo in una società ormai assuefatta a giudicare, criminalizzare e condannare le diversità, l’emarginazione e la rabbia sociale e in una fase storica in cui la costruzione di nuove carceri, la richiesta di pene esemplari e certezza della pena, fanno da cuscinetto alle politiche di aggressione sociale che da 40 anni i ceti popolari e meridionali subiscono.

Non è un caso che i destinatari dei processi di criminalizzazione e carcerazione appartengono a specifiche categorie sociali (ceti popolari-migranti-attivisti) e prevalentemente provenienti da aree geografiche specifiche (meridione-sud del mondo). Tra le 60.100 persone detenute, circa 20.000 sono migranti mentre oltre il 90% dei 40.000 italiani provengono dalle regioni del Sud Italia a confermare il carattere profondamente classista e razzista dell’istituzione carceraria e del sistema repressivo.

 

Se lo scorso anno intuivamo che stava per scoppiare una nuova fase di emergenza, oggi possiamo affermarlo con certezza. I numeri dei suicidi, sono tra i più alti degli ultimi 100 anni e negli ultimi due mesi la media è di 1-2 a settimana.
E quelli degli ammalati gravi e gravissimi, tra cui moltissime persone con fragilità psichiche, ci restituiscono la meschina protervia di uno stato servile con i poteri forti e forte con i deboli.
Populismo penale e stato d’eccezione permanente sono i paradigmi entro i quali i governi promuovono le politiche securitarie attraverso cui contenere le “pericolosità sociali”. Quest’ultima risulta essere una categoria ambigua, indefinita ed eminentemente politica, un marchio stigmatizzante che autorizza la repressione al fine di disciplinare e controllare chiunque, libero o detenuto che sia, sulla base del nulla, arrivando alla brutale sospensione e limitazione delle libertà individuali attraverso l’applicazione delle misure di prevenzione per le persone libere o del 14 bis/41 bis per i detenuti.
Un’ideologia securitaria che estende sempre più il confine della carcerazione trasformando le nostre stesse città in carceri a cielo aperto, sacrificando sull’altare del giustizialismo lo stato di diritto. Un’ideologia diffusa ed egemone che dobbiamo affrontare attraverso la decostruzione dell’armamentario emergenziale e giustizialista che tanto ha contribuito a far crescere tra la gente la richiesta di pene esemplari, per qualsiasi condotta fuori dagli schemi tracciati dalla “decorosa normalità” delle classi dominanti.
In questo quadro politico è sempre più urgente rimettere al centro i temi del garantismo e del diritto, dell’amnistia, dell’abrogazione del codice Rocco e di tutte le leggi liberticide e classiste sino ad oggi varate, dell’abolizione del 41bis e dell’ergastolo in quanto massime espressioni dello stato penale che torturano e uccidono giorno dopo giorno.

31 dicembre 2018 Cosenza Contro il Carcere