Ha percepito indebitamente il reddito di cittadinanza da novembre 2020 a febbraio 2021, cagionando un danno all’INPS di 1.422,31 Euro, non avendone diritto perché, al momento della presentazione dell’istanza, non era residente in Italia da almeno 10 anni. Ma è stata assolta perché il fatto non costituisce reato. A pronunciare la Sentenza di assoluzione nei confronti di V.S.A., 22enne straniera di origine romena, residente da anni a Cetraro, difesa di fiducia da Marta Gammella ed Emilio Enzo Quintieri del Foro di Paola, è stato il Giudice dell’Udienza Preliminare del Tribunale di Paola Roberta Carotenuto la quale ha accolto la richiesta proveniente dalla difesa, disattendendo quella di condanna alla pena di anni 2 di reclusione, sollecitata dal Pubblico Ministero Maria Porcelli.

L’imputata il 13 ottobre 2020, in pieno lockdown, tramite un Centro di Assistenza Fiscale, aveva presentato all’INPS domanda per l’ottenimento del beneficio del reddito di cittadinanza, accolta il 13 novembre 2020, attestando falsamente di risiedere in Italia da almeno 10 anni, percependo la somma di 3 mensilità per un totale di 1.422,31 Euro, così conseguendo un ingiusto profitto. A seguito degli accertamenti esperiti dai militari della Tenenza della Guardia di Finanza di Cetraro, V.S.A., che pure viveva in Italia da molti anni (dal 28 ottobre 2013), era emersa la mancanza del requisito della residenza decennale in Italia, previsto dall’Art. 2 c. 1 lett. a) n. 2 del Decreto Legge n. 4/2019 convertito in Legge n. 26/2019. Per tale ragione, atteso che nella domanda inoltrata ne aveva falsamente attestato la sussistenza, inducendo in errore l’INPS, era stata denunciata in stato di libertà, con l’accusa di indebita percezione del reddito di cittadinanza, delitto punito con la pena della reclusione da 2 a 6 anni. Secondo la difesa della giovanissima imputata, durante la compilazione dell’autodichiarazione finalizzata ad ottenere il reddito di cittadinanza, non aveva compreso bene il fatto che bisognava essere residente in Italia da almeno dieci anni, ma di essere solo residente, in modo continuativo, negli ultimi due anni, considerati al momento della richiesta del beneficio di contrasto alla povertà. La condotta era consistita soltanto nello “spuntare” la voce del modulo prestampato, peraltro di non immediata comprensione, sottopostogli dal personale del Centro di Assistenza Fiscale cui si era rivolta che, evidentemente, non le aveva spiegato bene la procedura. Pertanto, ad avviso dei difensori Gammella e Quintieri, nel caso di specie, difettava il dolo specifico richiesto dalla legge per la configurabilità del reato contestato e quindi concludevano richiedendo l’assoluzione dell’imputata perché il fatto non costituisce reato. Tale tesi era contrastata dalla Procura della Repubblica di Paola la quale chiedeva affermarsi la penale responsabilità con la condanna al minimo della pena prevista (2 anni) con il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.Dopo una breve camera di consiglio, il Giudice dell’Udienza Preliminare del Tribunale di Paola Roberta Carotenuto, ha deciso di assolvere l’imputata V.S.A., ritenendo che il fatto non costituisse reato, così come avevano richiesto i suoi difensori.