Le piazze di spaccio dell’Alto Tirreno cosentino sono dominate e gestite dalla cosca Muto. L’inchiesta “Katarion” della Dda di Catanzaro ha ricostruito gli affari del clan di Cetraro fotografando una nuova geografia criminale. Le indagini (coordinate dal procuratore capo Nicola Gratteri) hanno coinvolto 48 persone tra presunti sodali, gregari, picciotti e pusher. In poco tempo, i pm hanno chiuso le indagini nei confronti di 48 indagati. Di questi 36 hanno scelto il rito ordinario, mentre 12 hanno optato per l’abbreviato.

Nei giorni scorsi, infatti, la Dda ha formulato le richieste di pena per i dodici dell’abbreviato chiedendo oltre cento anni di carcere. Il pubblico ministero Romano Gallo ha depositato una requisitoria scritta nella quale ha ricostruito le tappe principali dell’inchiesta. E, alla fine, ha chiesto la condanna per tutti con condanne che vanno dai 4 ai 20 anni di carcere per Giuseppe Antonuccio 14 anni; Mario Cianni, 20 anni; Cianni Poldino, 9 anni; Annaelisa Esposito 4 anni 8 mesi; Flavio Graziosi, agli arresti domiciliari 9 anni e 6 mesi di reclusione; Alessio Presta 7 anni; Alfonso Scaglione 8 anni; Maurizio Tommaselli 10 anni; Luigi Tundis 10 anni; Franco Valente 14 anni; Gianluca Vitale 12 anni ; Concettina Zicca 9 anni. Il prossimo 19 gennaio inizieranno le arringhe dei difensori.

Le indagini del pool di magistrati guidati dal procuratore Gratteri, hanno accertato che è ancora la cosca Muto di Cetraro a gestire il narcotraffico sull’Alto Tirreno cosentino anche se è evidente – per gli inquirenti – che le piazze di spaccio sono state affidate a nuove leve. I pusher della cosca che però avrebbero seguito sempre le direttive dei capi anche se in carcere. Infatti, dopo gli arresti e i colpi inferti al clan da diverse sentenze – tra le quali quella scaturita dal blitz “Frontiera”, la potente cosca si sarebbe riorganizzata. L’inchiesta ha fatto emergere anche i canali da cui la cosca si riforniva dello stupefacente. Per gli inquirenti, i cetraresi ormai si rifornivano nella Locride e, in particolare, da pusher sidernesi. Le indagini hanno documentato continui viaggi dal Cosentino al Reggino. Fonte: Gazzetta del Sud