Di Saverio Di Giorno

Sono stati confermati, con sentenza irrevocabile e definitiva dieci ergastoli e decine di anni di carcere per l’operazione Tela del Ragno che ha interessato il cosentino dall’interno alla costa. L’impianto accusatorio, anzi investigativo come preferisce sottolineare il procuratore Facciolla ha retto completamente. “È la terza affermazione di penale responsabilità di decine di imputati per fatti gravissimi che diviene definitiva e che perciò rappresenta, ben oltre i proclami da conferenza stampa in occasione degli arresti, il miglior messaggio da inviare al territorio. Significa che quella vicenda giudiziaria è definitivamente chiusa. La gente può fidarsi dello Stato, della magistratura e delle forze dell’ordine” E quanto ce n’è bisogno di messaggi del genere dopo le ultime vicende e in un territorio tanto fragile che vive di segnali e di segni. E anche di sogni.
In che contesto siamo. “Siamo alla fine degli anni ’90. 1999. Tutto parte dall’omicidio di Marcello Calvano che segna di fatto l’inizio di una cruenta e sanguinosa guerra di mafia.” La guerra di mafia partiva dal cosentino e coinvolgeva come in passato la costa tirrenica, in particolare i clan di Paola vicini ai Perna- Pranno e quelli di San Lucido vicino a Franco Pino. E tra questi il clan Muto che agiva tra gli uni e gli altri e fuori territorio. “Si susseguirono una serie di fatti di sangue e l’attività di indagine da me coordinata attenzionava questi fatti mano a mano che si verificavano. Per fronteggiarla abbiamo eseguito nel tempo fermi e arresti per togliere uomini e mezzi ai clan coinvolti e per evitare soprattutto danni collaterali ulteriori come quello di Tonino Maiorano ammazzato per errore perché scambiato per Giuliano Serpa (clan operativo a Paola) e addirittura anche più gravi. Si pensi che in quelle menti criminali era stato programmato anche un attentato dinamitardo a mezzo autobomba nel centro di Paola fallito per puro caso”. Sul cosentino ci sono state almeno tre guerre di ‘ndrangheta documentate da operazioni come “Garden” e “Missing” condotte dal dottor Facciolla quale magistrato della Procura di Catanzaro.
Fotografano un periodo preciso sia dal punto di vista economico che giudiziario. “Si stava operando un salto di qualità. Questi erano clan di tipo familiare e le dinamiche seguivano queste linee familiari. Si stava uscendo dal ’92, da tangentopoli e dal blocco dei cantieri, dei grandi appalti statali e loro mettevano le mani sui primi appalti dopo quella fase piazzando imprenditori di riferimento nei cantieri in modo da controllare i lavori dall’interno e attraverso questi si stava compiendo il salto di qualità. La galleria di Coreca è un esempio. D’altra parte siamo nella fase successiva al processo Garden e quelli che per un motivo o per l’altro ne erano usciti indenni alzavano la testa. Bene, queste cosche sono state disarticolate e anche le nuove leve poi sono state disinnescate da altri lavori successivi come l’operazione Piranha. È un pezzetto di territorio che si può dire molto migliorato rispetto a prima, fino a bonificarlo, e questo è il messaggio che deve passare, per la credibilità della azione repressiva”.
Il procedimento però arriva ad oggi, nel 2020 anche perché c’è stata una fase di stasi. E quanti procedimenti, viene da pensare, oggi sono in fase di stasi poi permanente. “Si, se oggi si arriva a questo risultato è anche grazie al proficuo ed efficiente coordinamento tra uffici di Procura e forze dell’ordine. Intorno al 2011 io ero sostituto in Procura Generale e venni applicato su richiesta del dottor Borrelli Aggiunto alla DDA per non disperdere il patrimonio di conoscenza che avevo acquisito su quel territorio, di concerto con l’allora Procuratore Generale Santi Consolo. Il CSM adottò un provvedimento ad hoc poi confermato anche dal Procuratore Generale Otello Lupacchini.” Insomma se si possono ottenere certi risultati è anche grazie a coordinamento e collaborazione, mentre se si pensa ai fatti degli ultimi anni si vede quali altri risultati si ottengono se c’è contrasto tra uffici.
Avete disarticolato il braccio militare, il braccio economico. Ma è sempre più importante il famoso terzo livello o area grigia che dir si voglia. E un lavoro del genere nel territorio cosentino manca. Come mai? “Nel caso specifico non siamo riusciti a far emergere una vera e propria collaborazione o associazione di una borghesia mafiosa. È documentato però che i fatti sono stati commessi in un ambiente compiacente. Se non c’era una vera e propria adesione di appartenenti alle istituzioni sicuramente mancava una presa di posizione nettamente contraria. Ricordo che in occasione dei funerali di malavitosi caduti sul campo registravamo la presenza di sindaci, amministratori e professionisti, nei comuni avevano le porte aperte o ad esempio documentammo favoritismi dentro l’ASP di Paola e pressioni in altri uffici pubblici. In occasione della morte dell’innocente Maiorano qualche politico e qualche giornalista paventavano addirittura un omicidio per motivi passionali. Ma spesso non c’era bisogno di un vero e proprio accordo, bastava il prestigio criminale. E questo è un problema di agibilità democratica. Occorre riprendere quegli spazi.”
Ecco. Gli spazi. Certo però se poi capita che ad operazioni seguono annullamenti scarcerazioni è chiaro che la popolazione non attenta, non sufficientemente informata sia smarrita o sfiduciata. Il suo è un controesempio, ma quando avviene questo è perché? “Che si possano verificare annullamenti o pronunciamenti contrari a quelli del primo giudice è del tutto fisiologico. Quello che posso dire in generale è che se il quadro indiziario è valido passa il vaglio, almeno in larga parte. Poi è importante dare per certo solo ciò che si può con quello che si ha in quel momento. Del resto per questo il Presidente della Repubblica sovente richiama i magistrati al doveroso silenzio, a far parlare i provvedimenti, le sentenze, evitando inutili protagonismi. Bisogna, insomma in generale, leggere i pronunciamenti di volta in volta per capire il perché per quella posizione sono cambiati gli indizi o le esigenze cautelari.”
Quindi quello che sta emergendo a Salerno e in generale quello che a volte si è detto di sentenze ribaltate a causa di giudici corrotti sono episodi limitati? Non minano la possibilità di fare giustizia? “Una situazione del genere estesa impropriamente a regola sarebbe patologica e al momento non ci sono elementi per poter affermare una cosa del genere. Personalmente negli anni di servizio in Calabria non ho avuto sentore di aggiustamenti ma di valutazioni superficiali o non conformi alla legge, altrimenti lo avrei denunciato. Ho impugnato decine e decine di sentenze ottenendo in un numero elevato di casi riforme nelle sedi superiori, e ricordo che in alcuni casi la Corte di Cassazione ritenne di trasmettere gli atti al titolare dell’azione disciplinare, ma non ho mai saputo l’esito ; nella mia carriera a volte ho avuto l’impressione di pressioni esterne, ma il caso di Tela del Ragno è proprio la dimostrazione che ciò nonostante si può fare giustizia. Dipende sempre e solo da noi”
Un ultimo aspetto rimane da chiarire sul quale questa indagine può fare da lezione. Spesso si sente dire che non ci sono sufficienti strumenti, che sarebbero necessari più mezzi o strumenti. È vero quindi che il codice non è più capace di intercettare il nuovo sviluppo del crimine organizzato? “Che la criminalità organizzata, camaleontica com’è, abbia cambiato modus operandi è innegabile. C’è anche da dire che comunque l’omicidio, l’aggressione violenta era e rimane una estrema ratio del tutto valida e possibile per regolare i contrasti interni e non solo. In generale penso che gli strumenti li abbiamo e nel tempo sono stati incrementati soprattutto nell’aggressione ai patrimoni; questa è una strada che ritengo molto utile. Magari fa meno notizia dell’arresto, ma sotto alcuni punti di vista è anche più incisiva perché depotenzia i clan. Inoltre per rimanere sul caso di discussione: questa indagine è stata fatta con pochi mezzi, ma tanta pazienza, impegno continuo e pochi uomini validi e leali, un luogotenente dei Carabinieri di Paola, prezioso conoscitore di area e archeologo giudiziario, un esperto, scrupoloso e dannatamente intelligente luogotenente del ROS, un maresciallo e un brigadiere pazienti tessitori, e l’infaticabile personale della mia scorta, a cui va tutto il mio ringraziamento”.
Ci sono stradine percorribili in Calabria, sentieri stretti, nascosti, impervi. Come sui massicci calabresi. Occorre attenzione e pazienza e piano piano i sentieri poco battuti entrano a far parte del paesaggio e dell’ordine naturale delle cose.