Di Saverio Di Giorno

In una notte buia e tempestosa Conte ha deciso il destino dell’Italia per almeno il prossimo mese. E ha deciso anche che Calabria e Campania dovessero avere destini diversi, molto diversi. Secondo molti questa decisione è assurda e non giustificata dai dati dei contagi. E a ben vedere nemmeno dalla situazione della sanità che non è poi diversa … o cosi dicono su facebook. Una prima regola nel prendere una decisione è tenere conto di più indici e quindi solo i contagi non bastano e nemmeno i soli posti in terapia intensiva. Conte ha deciso di usarne 21 di indicatori e sulla base di questi si decide. Quindi cosa hanno di diverso Calabria e Campania?
Un po’ di pazienza e passiamo in rassegna i principali indicatori.
1) Numero di casi sintomatici notificati per mese in cui è indicata la data inizio sintomi/totale di casi sintomatici notificati al sistema di sorveglianza nello stesso periodo.
2) Numero di casi notificati per mese con storia di ricovero in ospedale (in reparti diversi dalla TI) in cui è indicata la data di ricovero/totale di casi con storia di ricovero in ospedale (in reparti diversi dalla TI) notificati al sistema di sorveglianza nello stesso periodo.
3) Numero di casi notificati per mese con storia di trasferimento/ricovero in reparto di terapia intensiva (TI) in cui è indicata la data di trasferimento o ricovero in Tl/totale di casi con storia di trasferimento/ricovero in terapia intensiva notificati al sistema di sorveglianza nello stesso periodo.
4) Numero di casi notificati per mese in cui è riportato il comune di domicilio o residenza/totale di casi notificati al sistema di sorveglianza nello stesso periodo.
5) Numero di checklist somministrate settimanalmente a strutture residenziali sociosanitarie (opzionale).
6) Numero di strutture residenziali sociosanitarie rispondenti alla checklist settimanalmente con almeno una criticità riscontrata (opzionale).
7) Percentuale di tamponi positivi escludendo per quanto possibile tutte le attività di screening e il “re-testing” degli stessi soggetti, complessivamente e per macro-setting (territoriale, PS/Ospedale, altro) per mese.

Già in questo primo gruppo si vede qualche differenza. Che ci piaccia o no la Campania fa più tamponi (perché ne ha comprati molti di più e su questo ci torneremo) della Calabria e ci mette meno tempo a processarli. Senza contare che ha più strutture. Questo che significa che può tracciare meglio e circoscrivere più velocemente un focolaio, anche se più grande.

8) Tempo tra data inizio sintomi e data di diagnosi.
9) Tempo tra data inizio sintomi e data di isolamento (opzionale).
10) Numero, tipologia di figure professionali e tempo/persona dedicate in ciascun servizio territoriale al contact-tracìng.
11) Numero, tipologia di figure professionali e tempo/persona dedicate in ciascun servizio territoriale alle attività di prelievo/invio ai laboratori di riferimento e monitoraggio dei contatti stretti e dei casi posti rispettivamente in quarantena e isolamento.
12) Numero di casi confermati di infezione nella regione per cui sia stata effettuata una regolare indagine epidemiologica con ricerca dei contatti stretti/totale di nuovi casi di infezione confermati.
13) Numero di casi riportati alla Protezione civile negli ultimi 14 giorni.
14) Rt calcolato sulla base della sorveglianza integrata ISS (si utilizzeranno due indicatori, basati su data inizio sintomi e data di ospedalizzazione).

Questi sono punti ancora più dolenti. Oltre alla ripetuta capacità di tracciamento e isolamento di un focolaio vengono contate il numero e la tipologia di figure professionali. La cronaca sanitaria calabrese abbonda di casi ed episodi di carenze di personali; è chiaro infatti che anche se si aumentano i posti o le strutture (cosa che la Calabria comunque non ha fatto o in misura minima), ma non c’è sufficiente personale qualificato il sistema va in impasse.

15) Numero di casi riportati alla sorveglianza sentinella COVID-net per settimana (opzionale).
16) Numero di casi per data diagnosi e per data inizio sintomi riportati alla sorveglianza integrata COVID-19 per giorno.
17) Numero di nuovi focolai di trasmissione (2 o più casi epidemiologicamente collegati tra loro o un aumento inatteso nel numero di casi in un tempo e luogo definito).
18) Numero di nuovi casi di infezione confermata da SARS-CoV-2 per Regione non associati a catene di trasmissione note.
19) Numero di accessi al PS con classificazione ICD-9 compatibile con quadri sindromici riconducibili a COVID-19 (opzionale).
20) Tasso di occupazione dei posti letto totali di Terapia Intensiva (codice 49) per pazienti COVID-19.
21) Tasso di occupazione dei posti letto totali di Area Medica per pazienti COVID-19.

Altri tre punti centrali. La Campania ha molti contagi (anche se su una popolazione molto più grande), ma raggruppati in pochi focali. Questo significa che la provenienza è simile. Nella Calabria i casi sono abbastanza dislocati sul territorio questo li rende molto meno circoscrivibili. Tra gli indicatori viene inoltre contato oltre al numero di posti letto in TI anche quelli in area medica e anche qui non c’è partita.
Ma veniamo ai posti in TI. Se si guardano i dati è vero che la Campania è messa molto peggio. 7,2% in Calabria contro il 34%. In ogni caso questo il dato dopo la correzione notturna altrimenti era il 17%. Comunque meno, ma è un indicatore contro ventuno.

Per concludere sarà utile ricordare qualche dato già visto in un articolo da un titolo particolarmente sibillino “Quante terapie intensive vale un voto?”. La Campania è la regione meridionale che ha smosso più soldi in appalti relativi al Covid.
Per la Calabria il totale base degli appalti era di 24,5 milioni di euro per la Campania 391,2 milioni di euro. Sedici volte di più. In particolare 1,3 milioni in terapie intensive in Calabria contro 62,5 milioni. E come già visto molti degli appalti calabresi sono serviti per interventi di emergenza negli ospedali (Paola soprattutto), che potevano essere già messi apposto. In tutto questo giro di soldi, la Calabria ha ricevuto quasi 90 milioni che fine hanno fatto?
Una cosa c’è in comune con la Campania: l’alta percentuale di appalti affidati con procedure non aperte, ma anche qui c’è una differenza perché in Campania sono state aperte più indagini, in Calabria tutto tace nonostante anni di dissesto, commissioni parlamentari d’inchiesta e denunce. Ma il perché è chiaro: la sanità calabrese è la più infiltrata dalla massoneria deviata quindi non si può.
Queste motivazioni e le decine di indicatori spiegano bene, a nostro avviso, la differenza, ma se ce n’erano altre motivazioni perché non sono state fatte valere negli incontri con le regioni dai nostri rappresentanti che invece hanno preferito correggere i dati come ladri di notte? Magorno, Gentile, Spirli, Scopelliti ecc. ecc. scalpitano, ma hanno aiutato in passato cliniche private le quali stanno imponendo tamponi a 80 euro e camuffano difficoltà.
Il confronto è con la Campania, non con l’Emilia Romagna o con la Toscana. Una regione che più volte è stata sanzionata per la condizione della sua sanità, che non è in condizioni ottimali e nemmeno accettabili in alcune zone. Allora cosa vuol dire: che in questi mesi la Campania è diventato il miglior luogo dove curarsi? No, non è detto che fra 14 giorni venga retrocessa. Non vuol dire nemmeno che De Luca sia un grande governatore, anzi indagato e ammanicato tra uno show e un’offesa non può dirsi migliore ai nostri. Vuol dire solo che la Calabria è a livelli inferiori a quelli non accettabili, a livelli incivili. La Calabria è una zona rossa da tempo. Rossa di vergogna, di sangue, di timidezza. Mai abbastanza rossa di rabbia e mai abbastanza verso gli obiettivi veri. Mai nel momento giusto: quello del voto.
Saverio Di Giorno.