LaLa D di Catanzaro, anche attraverso l’ormai celeberrima operazione Stige (della quale fa parte a tutti gli effetti anche l’arresto del maresciallo dei carabinieri forestali Carmine Greco), sembra volere andare fino in fondo nelle questioni che riguardano i rapporti interni alla ‘ndrangheta delle montagne, cioè alla feroce criminalità crotonese, che ha da anni allargato i propri interessi lungo il massiccio silano.

La città più importante – San Giovanni in Fiore – è stata per un periodo il rifugio prediletto e sicuro di Guirino Iona, irriducibile e sanguinario boss di Belvedere Spinello. E nei boschi tra Aprigliano e San Giovanni, non a caso, sono stati arrestati, nella notte tra il 3 e il 4 novembre del 2008, i due più temuti esponenti del “locale” mafioso di Cirò: Cataldo Marincola e Silvio Farao.

Farao e Marincola
L’altopiano silano è utilizzato ormai da decenni dalle cosche crotonesi per nascondere i corpi delle vittime della lupara bianca e per dare alle fiamme le salme dei “picciotti” condannati a morte dai tribunali della ‘ndrangheta di Petilia Policastro, Cotronei, Belvedere Spinello, Cutro, Mesoraca e Cirò.
Le “lupare” in montagna non sparano da sole.

Sul versante cosentino della Sila sarebbero stati seppelliti – secondo alcuni pentiti – i corpi di Francesco Salerni, scomparso nel 1985 e di Giovanni Leanza, sparito nel 1991. Entrambi vivevano a Cosenza. Simile, ma ancora più cruenta, la fine fatta fare ai fratelli Stefano e Giuseppe Bartolomeo, uccisi nella città dei bruzi e squagliati nell’acido in una radura silana. I resti vennero distrutti utilizzando – come si evince dalle rivelazioni di due collaboratori di giustizia – un bidone di grande dimensioni ricolmo di una sostanza dal potere scarnificante.

Tra le montagne l’uso del fucile calibro 12 è una tragica costante che collega una decina di agguati compiuti nel triangolo geografico Lorica-San Giovanni in Fiore-Trepidò. L’elenco delle azioni di fuoco compiute è lungo e agghiacciante. Nel 1993 Mario Carvelli, 43 anni, imprenditore agricolo di Cotronei, cade falciato dai pallettoni nell’area crotonese della Sila. Pochi mesi dopo, identica fine fece un altro allevatore Fausto Musacchio, 50 anni, sempre di Cotronei.

Il 13 agosto del 1998, a Trepidò, in una zona non lontana da un villaggio turistico posto a ridosso dall’Ampollino, viene trucidato un piccolo allevatore, Giuseppe Angotti, 44 anni, sempre di Cotronei. Nove mesi dopo, esattamente il 12 maggio del ’99, sulla Statale 107, rimangono feriti in un altro agguato gli allevatori Vittorio Schipani, 58 anni e Antonia Costante, 49, di San Giovanni in Fiore.

Il 27 ottobre del 2000 l’imprenditore agricolo Francesco Tallarico, 62 anni, e il nipote Gianfranco Madia, di soli 15 anni, entrambi sangiovannesi, vengono assassinati a colpi di “lupara” sulla superstrada che collega Camigliatello a San Giovanni.

L’OMICIDIO DI TOMMASO GRECO

Il 27 settembre 2001 tocca all’allevatore di Cariati, Tommaso Greco, ammazzato sulla Ss 107, in territorio di Lorica.

Tommaso Greco, 67 anni, è un grosso proprietario terriero e non aveva mai avuto problemi con la giustizia. Gestisce un’azienda di produzione olearia a Cariati e alcuni fondi rustici sull’altipiano silano. La sua è una famiglia non collegata ad ambienti criminali. Il figlio, Saverio, è un noto professionista e fino all’agosto del Duemila è stato vicesindaco della cittadina ionica.

Vent’anni prima, nel 1981, un suo dipendente, Cataldo Santo, di 22 anni, viene ammazzato durante una furibonda lite avvenuta a Terravecchia. In quella circostanza la morte l’aveva soltanto sfiorato. Greco uscì illeso dall’agguato e continuò ad impegnarsi nella sua attività e ad andare in giro per le contrade ioniche e silane accompagnato solo dalla certezza di non avere conti in sospeso con nessuno. I fatti, purtroppo per lui, hanno dimostrato che si sbagliava.

E’ stato assassinato poco dopo le 18, sulla strada statale 107 che collega Camigliatello a Lorica. L’uomo, che rientrava a Cariati dopo aver trascorso il pomeriggio nei terreni di cui era proprietario nella zona del lago Cecita, è stato massacrato con diverse scariche di pallettoni esplose da un fucile calibro 12.

L’allevatore era alla guida di un fuoristrada Mitsubishi quando da una berlina un killer senza volto ha cominciato a far fuoco. Greco ha bloccato il Mitsubishi e si è dato alla fuga a piedi, forse cercando scampo tra i boschi. Il sicario l’ha inseguito e finito con una serie di colpi sparati a distanza ravvicinata sia al torace che alla bocca.

Claudio Curreli
Sul sedile anteriore destro del fuoristrada la vittima ha abbandonato il suo telefonino cellulare che ha sinistramente continuato a squillare sino all’arrivo dei carabinieri. Sulla memoria elettronica c’era impresso un numero misterioso. Un numero che poteva essere decisivo per risalire agli autori del delitto ma che il pubblico ministero Claudio Curreli, della Procura di Cosenza, noto anche per i clamorosi abbagli nelle inchieste su Padre Fedele e i no global, non saprà valorizzare. Lasciando il delitto Greco senza colpevoli.

La dinamica dell’esecuzione appare di chiaro stampo mafioso. Il delitto sembra “firmato” dalla implacabile ‘ndrangheta dei boschi.

L’allevatore cariatese era un uomo dal carattere forte. Aveva fatto fortuna lavorando nel mondo agricolo. Un mondo dove le leggi dello Stato contano sino ad un certo punto e dove i contrasti rischiano spesso di essere insanabili e i fatti “possono” più delle parole. Vivere in ambienti del genere non è semplice. Greco avrà fatto qualche errore o forse qualche sgarro. Fatto sta che viene eliminato e, paradossalmente, come vedremo, per i suoi figli – che formano il potentissimo gruppo iGreco – si aprirà subito dopo una stagione di incredibili successi. A partire dalle forniture di olio al colosso Mc Donald’s.

“… È d’altronde difficile per chiunque districarsi nella selva d’interessi, faide, traffici, alleanze, che fanno da sfondo ai tanti omicidi compiuti a cavallo del massiccio silano negli ultimi anni. La Sila allunga le sue pendici di roccia sino alle aree ioniche del cosentino e del crotonese. Zone ad alta densità mafiosa. La lotta tra lo Stato e l’antistato tra i contrafforti battuti dal vento, si combatte facendo i conti con i volti imperscrutabili degli allevatori, i proverbiali silenzi dei pastori, le continue transumanze del bestiame e i rumori di potenti fuoristrada assurti a simbolo d’una ostentata ricchezza ottenuta gestendo terreni e floride coltivazioni…” (Arcangelo Badolati – Gazzetta del Sud)
I delitti consumati tra le montagne del massiccio calabrese e quello di Tommaso Greco in particolare nasconderebbero un groviglio d’inconfessabili interessi, legati alla gestione di terreni, capi di bestiame e aziende agricole. Beni spesso destinatari di lucrosi finanziamenti pubblici. Sullo sfondo si muoverebbero i segreti interessi delle fameliche cosche della ‘ndrangheta crotonese, che hanno individuato nell’area dell’Altopiano un’oasi d’impunità.

E non è certo finita qui.

Tra i boschi di San Giovanni in Fiore, nell’agosto del 2003, viene trovato pure il corpo carbonizzato di Gaetano Covelli, 42 anni, di Petilia Policastro, all’interno della sua auto. Pure lui venne assassinato con un colpo di pistola calibro dodici, sparato alla nuca.

Il venti dicembre dello stesso anno, in località Bocca di Piazza, viene invece assassinato a colpi di fucile caricato a pallettoni, un allevatore di Colosimi, Gianfranco Mancuso, di 46 anni.

Giuseppe Loria
Il tre settembre del 2005 sparisce a San Giovanni in Fiore Giuseppe Loria, giovane operaio 24enne del luogo. Pure lui ucciso. Il ragazzo, estraneo ad ambienti a rischio, era stato lasciato da un conoscente davanti a un albergo cittadino. Loria fece intendere che avrebbe dovuto incontrare un amico. Da quel pomeriggio, però, nessuno l’ha più visto. La madre ha più volte lanciato disperati appello caduti, purtroppo, nel vuoto.

Magistrati e investigatori non escludono, inoltre, che sotto i maestosi alberi secolari del massiccio montuoso siano stati nascosti anche i resti di Annibale Alterino e Damiano Mezzorotolo, due cognati di Cariati, spariti nel nulla nel 2005.

Un macellaio di San Giovanni in Fiore, Antonio Silletta, 36 anni, viene trovato carbonizzato tra i faggi a gennaio del 2007. La scoperta del cadavere fa morire di crepacuore, poche ore dopo, pure la madre della vittima.

Antonio Silletta
Un fotografo napoletano, residente a Petilia Policastro, Paolo Conte, 44 anni, viene trovato incenerito, il 29 agosto del 2006, all’interno della sua auto, nella boscaglia che lambisce il lago Ampollino. Considerate le condizioni del cadavere è stato persino difficile capire come fosse stato assassinato. Solo dopo accuratissimi esami necroscopici, compiuti dal prof. Aldo Barbaro, si scoprì che era stato ucciso con un colpo di pistola sparato alla nuca. Esattamente come Silletta.

Su Silletta, il pentito Oliverio ha spiegato praticamente tutto, dalla nascita della ‘ndrina di San Giovanni in Fiore collegata alla ‘ndrangheta crotonese al movente per finire all’esecuzione.

Pare che abbia dato delle importanti indicazioni anche sull’omicidio di Loria ed è facile pensare che sappia anche tante altre cose ma per il momento non sono uscite fuori.

In Sila infine si concentrerebbero anche gl’interessi dei trafficanti di droga dell’area ionica. Interessi di cui parlò per primo, nel lontano 1997, un pentito siciliano, di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina). La “gola profonda” fece esplicito riferimento a incontri avvenuti a San Giovanni in Fiore per stabilire l’entità dei carichi da trattare. Il collaboratore parlò pure di un esponente delle forze dell’ordine su cui i “narcos” potevano contare per trasferire le partite di cocaina e eroina. Le sue dichiarazioni non hanno però mai avuto sbocchi processuali. Ma adesso con la nuova operazione Stige e soprattutto con il pentimento di Francesco Oliverio prima e di Francesco Farao successivamente, è molto probabile che si possa arrivare finalmente alla verità.