Di Saverio Di Giorno

Qualche sera fa, Largo Savonarola a Diamante è stata la suggestiva cornice dell’evento “Liberi di raccontare”. Un luogo dal nome quantomai evocativo per una tavola rotonda con giornalisti illustri. Sotto il nome del frate eretico e fustigatore di costumi e sotto gli occhi del sindaco Magorno che non ha sempre avuto rapporti idilliaci con la stampa, si è discusso… di libertà di stampa. In Italia e in Calabria. Si è cercato quindi di spiegare agli ascoltatori e quindi ai lettori i problemi e le mancanze che loro conoscono e subiscono.
Michele Albanese, giornalista de Il quotidiano del Sud, sotto scorta dal 2014. Damiano Iovino, giornalista di Panorama. Filippo Veltri responsabile calabrese ANSA. Paolo Gambescia, direttore di quotidiani quali l’Unità o il Messagero. Il cronista e senatore Sandro Ruotolo. Tutti nomi illustri e tutti nomi maschili, tanto per iniziare dal problema della disparità che si aggiunge, sebbene non dibattuto, agli altri che affliggono il mondo della stampa. Tante le analisi giuste e condivisibili: la questione della rete che ha posto in forse l’utilità di una mediazione che appare sempre più una dissimulazione o, ancora peggio, rischia di diventare propaganda di partito. Il problema degli editori non puri che hanno altri interessi e finiscono per mettere paletti alla libera informazione. Come non essere grati al senatore Ruotolo che ha ricordato le difficoltà di accesso per un giovane a questo mondo e che non è il tesserino a fare il giornalista. E poi il problema dei problemi: le paghe illusorie che non consentono alcuna libertà di informazione: come ci si può difendere da una querela, come si può approfondire una notizia andando sul luogo se non si riesce a pagare il treno o il carburante per arrivarci? Questi sono sicuramente i pensieri di qualche giovane cronista che ha seguito in diretta fb il dibattito, di ritorno magari da un’intervista o un incontro, seduto in un vagone con il cellulare in una mano e il biglietto del treno nell’altra.
Di certo c’è che in Calabria e al Sud questi temi assumono le coloriture accese e forti del tramonto alle spalle dei relatori. Innanzitutto perché, come è stato giustamente detto, il Sud è sempre stato raccontato dal Nord. Un po’ come i giovani cronisti che sono raccontati da anziani maestri o le giovani croniste da uomini. Perché purtroppo le buone intenzioni e le necessarie analisi e denunce si poggiano comode sulle seggiole di vimini intrecciati come le mani e i sorrisi cortesia impegnati a raccontare i rispettivi inizi difficili e degli ostacoli incontrati. Ma affrontati in un mondo completamente diverso. Cortesie ovviamente anche verso il sindaco, elogiato per i suoi semafori all’entrata dei lidi. Si rischia quindi di confondere i soprusi con la gavetta e di giustificare gli ostacoli tutti italiani come necessari, quasi fosse una sorta di percorso iniziatico e non di un mestiere.
Di certo c’è anche che questi temi sono vecchi e le risposte e le soluzioni ci sono. Già Montanelli ricordava come la stampa italiana fosse nata cortigiana e propagandista, se non altro perché nessuno sapeva leggere, mentre all’estero con il proposito opposto di controllare e smontare il potere. Con questi presupposti come poteva andare a finire? Se lo chiedeva Montanelli, uno che di editori impuri se ne intendeva e che quando Berlusconi era diventato troppo ingombrante semplicemente se ne andò. Si può mai guardare al giornalismo aggressivo e anticasta inglese se non si comincia dal togliere da mezzo il tesserino che fa tanto casta? E infine, non è neanche una novità che l’informazione non sia conoscenza. Il lavoro da fare non è commentare tweet o comunicati, ma mettere in fila, ricostruire, collegare. Forse allora, se ci sarà qualcosa di interessante da leggere e piacevole da leggersi, i lettori non si fermeranno solo ai titoli o non pretenderanno di avere pagine e reportage gratuiti. È un’educazione reciproca.
Di certo, infine, c’è anche che in Calabria tutto questo è ancora differente. Questa è la regione delle rotative “inceppate” dell’Ora della Calabria quando si trattava di notizie su Gentile e Diamante è il paese il cui sindaco e non solo lui, definiva giornalisti “pseudo-chiacchieroni” ed è anche il paese nel quale se un cittadino protesta e denuncia, invece di ascoltarlo o semmai contraddirlo legittimamente viene pestato senza che il sindaco stigmatizzi l’episodio: è il caso dell’avvocato Battista Greco; per quell’episodio oggi è arrivata una condanna a tre anni per Angelo Aligia e tre assoluzioni con formula dubitativa per Raffaele Bruno, Vincenzo Vidiri e Biagio Casella. Denunce – per inciso – che comunque contribuirono al trasferimento del magistrato Francesco Greco. Questo per fare appunto un minimo di collegamento e ricostruzione. Lo stesso procuratore Gratteri denunciava su alcuni media (e si spera anche nelle sedi giuste) di altri media locali in mano alla masso-mafia per plasmare l’opinione pubblica.
Non si possono imputare, a chi il suo dovere l’ha fatto (come i presenti) le colpe di altri. È la solita storia: se uno si trova sotto scorta o emarginato è perché gli altri evidentemente non hanno fatto altrettanto, per cui, nonostante tutto ben vengano questi momenti. Ce n’è bisogno. Magari la prossima volta oltre che parlare dei problemi della libertà di stampa, si potrebbe parlare di quei lavori, articoli o servizi che di questi problemi della stampa sono stati vittima (con intimidazioni, querele o altro). Così … giusto un’idea venuta sul vagone per la stanchezza, e non della giornata.